Il 28 dicembre 1908 le città di Messina e Reggio Calabria subirono un terrificante maremoto. Alle 5.20, per 37 secondi, una scossa di terremoto, che toccò il dodicesimo grado della scala Mercalli e 7,2 della scala Richter, distrusse le due città dello Stretto. I danni a uomini e cose furono di dimensione apocalittica: metà della popolazione messinese e un terzo di quella del capoluogo calabrese persero la vita. La stima delle vittime totali oscillava tra 90 mila e 120 mila morti. Una vera e propria ecatombe. I danni alle cose furono, forse, di proporzioni ancor più devastanti: a Messina il terremoto aveva fatto crollare, come tanti castelli di carta, il 90% degli edifici e le strutture rimanenti vennero spazzate via da un maremoto che si sviluppò in tre onde successive, alte più di dodici metri.
Un disastro naturale quasi senza precedenti nella storia europea. Infatti, si trattava della catastrofe naturale più grave che fosse mai avvenuta sul territorio italiano, almeno negli ultimi millenni, e una delle più gravi d’Europa.
Nel 1908 i collegamenti telegrafici erano già piuttosto diffusi a livello planetario. Ed è anche per tale ragione che la notizia della tragedia si diffuse velocemente in tutto il mondo. Naturalmente, anche i giornali ebbero un ruolo decisivo nella diffusione della notizia della catastrofe e nell’indirizzare l’attenzione dell’opinione pubblica internazionale sulla stessa. L’immagine di Messina, la città più colpita, sia sul piano dei morti sia sul piano dei danni materiali, che emergeva dalle testate giornalistiche di mezzo mondo, era quella di una città ormai praticamente inesistente. Tanti secoli di storia, scolpiti nei palazzi, furono, di fatto, spazzati via in pochi secondi.
Messina venne rappresentata, rappresentazione molto vicina alla realtà, come un cumulo di macerie, circondata da nubi di polvere e abbracciata dal fumo degli incendi. Inoltre, il maremoto, non soltanto aveva devastato palazzi e strade ma aveva anche reso impraticabile il porto e le banchine utili per l’attracco delle navi, creando grossi problemi per l’approdo degli aiuti e dei rifornimenti. Lo scenario diventava ancor più drammatico se lo sguardo si rivolgeva sugli effetti psicologici e sociali che la tragedia ebbe sui messinesi superstiti, molti dei quali, oltre ad aver perso la propria abitazione e ogni bene, si ritrovarono senza familiari, vicini e amici. Tantissimi caddero in una dimensione di disorientamento e sconvolgimento emotivo.
Non a caso, solo pochi furono i superstiti in grado di dare una mano d’aiuto ai soccorritori, che nel frattempo confluivano tra le rovine della città peloritana. I primi cronisti giunti sul luogo, italiani e stranieri, si resero immediatamente conto della condizione disperata di gran parte della popolazione: persone che girovagavano senza meta, altri che, disperandosi, si ritrovavano dinanzi ai brandelli dei propri cari. Teste e arti, disseminati ovunque, erano testimonianza di un paesaggio lugubre e di morte, reso ancor più inquietante dalle urla di coloro che, rimasti incastrati sotto le macerie, chiedevano disperatamente aiuto. I giornali raccontarono copiosamente l’apocalisse messinese, documentando atti di coraggio ed eroismo di chi ostinato continuava a scavare, spesso a mani nude, tra le macerie, nel tentativo di salvare qualche vita. Ma vi furono pure atti di vigliaccheria ed episodi di sciacallaggio, fenomeno quest’ultimo, alquanto diffuso quando si manifestano tragedie simili.
Gli aiuti internazionali furono molteplici. Già il giorno seguente all’accaduto, il 29 dicembre 1908, i marinai della squadra navale russa del Baltico sbarcarono a Messina rendendo i primi soccorsi ai sopravvissuti: un episodio che rimarrà nei cuori dei messinesi. Un altro aiuto, anch’esso piuttosto rapido e risolutivo, avvenne ad opera della marina britannica di Malta, il cui impegno nell’assistenza ai feriti e nell’approvvigionamento della popolazione assunse grande portata. E poi, più in generale, la solidarietà internazionale, generata anche dall’impegno della stampa, fu ampia: navi francesi, tedesche e statunitensi giungevano nello Stretto per dare il proprio contributo. Ma c’è di più: molti sovrani, governi, capi di Stato e parlamenti nel mondo iniziarono a promuovere sottoscrizioni a favore delle vittime. Impegno simile fu dimostrato da enti locali, sindacati, banche, cooperative artigianali, comunità religiose e associazioni benefiche laiche: aiuti economici provenienti, a più livelli, da ambienti locali, nazionali e internazionali.
Probabilmente, un simile moto di solidarietà internazionale non si era mai manifestato prima. Certamente, ciò era dovuto alle dimensioni davvero eccezionali dell’entità distruttiva di un evento naturale straordinario. Ma l’attività giornalistica favorì tale moto, e in tal senso, un ruolo importante lo ebbe pure l’uso massiccio delle fotografie. In tal modo, manifestazioni concrete di vicinanza alle popolazioni colpite non partirono soltanto dall’Europa e dagli Usa ma anche da Paesi lontani come l’Australia, il Brasile, l’Argentina, l’India e il Giappone. Anche il mondo della cultura e dell’arte s’impegnò, organizzando migliaia di iniziative ed eventi, tra cui concerti, mostre artistiche e fotografiche, rappresentazioni teatrali e liriche, proiezioni di film, il cui ricavato venne devoluto in beneficenza.
Nella fase successiva all’emergenza, subentrò la fase di ricostruzione di una città che doveva essere edificata ex novo. Una fase, quella della ricostruzione, nella quale gli Usa svolsero un ruolo importantissimo, realizzando nella zona sud della città peloritana un nuovo quartiere. Il forte impegno degli americani era pure legato al ricordo, ancora molto fresco, del terribile terremoto di San Francisco del 1906. Ma anche perché molti erano gli immigrati siciliani e calabresi presenti negli Stati Uniti.
Il terremoto di Messina del 1908 fu un evento apocalittico di portata epocale. Restava pochissimo, quasi niente del centro storico cittadino. Non rimase quasi nulla dell’antico mercato, custode della memoria del ruolo assunto dalla città nel corso dei secoli, snodo dei traffici commerciali tra il Mediterraneo e i mari del Nord, tra l’Europa occidentale e il Medio Oriente. Poco rimaneva del trionfo di Lepanto, celebrato in centinaia di dipinti. Discorso simile per il maestoso e suggestivo Teatro Marittimo. Nell’immensità della catastrofe il mondo seppe stringersi intorno a Messina. Una città ferita quasi mortalmente, una ferita mai del tutto rimarginata. E i messinesi, nei decenni successivi, riusciranno a recuperare solo parzialmente la propria identità storica. Ma nonostante ciò, Messina troverà la forza per guardare con coraggio, seppur con enormi difficoltà, al futuro.
VINCENZO ROBERTO CASSARO