La gestione dell’epidemia del Covid da parte delle istituzioni, a tutti i livelli, ricorda molto il circo Barnum. Si ha spesso l’impressione, tra aperture e chiusure, chiusure e aperture che sia il Covid a smuovere il governo e non il governo a controllare il virus.
Vi è poi una gara a chi la spara più grossa, mentre aumenta la mortalità e i medici invocano a non abbassare la guardia e di essere messi nelle condizioni migliori per curare i malati.
Su questo si continua tergiversare in un rimbalzo delle responsabilità nel vecchio gioco dello scarica barile. Sembra, invece, che il problema principale degli italiani sia quello di andare a sciare o sui posti da stabilire per il cenone di Natale, senza preoccuparsi di quei cittadini che il cenone non se lo possono più permettere e che più delle settimane bianche li aspettano le settimane nere.
Si va sempre più consolidando tra la gente l’impressione che i governi si muovano a tentoni, senza far tesoro dell’esperienza dell’estate scorsa e che, ancora una volta, le aperture concesse saranno intese come un “liberi tutti”. L’assegnazione, inoltre, dei colori alle diverse regioni per stabilire la dimensione della pericolosità del virus, con le polemiche e le proteste conseguenti, hanno dato l’impressione che i criteri per queste scelte e i successivi cambiamenti obbedissero più a criteri politici che ricavati da dati scientifici.
Gli esperti, infatti, temono il pericolo di una terza ondata e non è da escludere che, cinicamente, il governo l’abbia messa nel conto ma che presto si potrà fare affidamento sui vaccini e per quelli che non ce l’hanno fatta pazienza!
Ancora più preoccupante è che nessuno si ponga il problema di quello che succederà dopo la fine dell’epidemia e, per quel che ci tocca più da vicino, che Sicilia troveremo.
Il governo nazionale e regionale, non essendo stati in grado di trovare un giusto equilibrio tra il diritto alla salute e il diritto al lavoro, hanno fatto ricorso alla politica dei ristori.
Contributi più o meno celeri erogati sulla spinta delle pressioni delle diverse categorie, in particolare quelle più protette politicamente e sindacalmente, con le proteste di quelle escluse, non inseriti in un serio e rigoroso programma in grado di affrontare complessivamente l’emergenza.
Tutti questi provvedimenti hanno lo scopo di sostenere i consumi, nessun sostegno invece alla produzione, nessun aiuto al pur fragile sistema produttivo e a quegli imprenditori che caparbiamente ancora resistono e non vogliono mollare, ma fino a quando.?
Il day after, superata l’emergenza, troverà una Sicilia più povera ed emarginata con meno imprenditori, in un contesto di desertificazione produttiva e con ancora più giovani che lasceranno l’isola. Non potrà reggere a lungo una economia che galleggia sulla sottoccupazione, il lavoro nero, il precariato e l’assistenzialismo.
Si accentuerà il divario con il nord Italia per cui l’attenzione sarà rivolta alle aree più forti del paese in grado di integrarsi con il resto dell’Europa per evitare il declino. Ancora ancora una volta sarà sacrificato il Mezzogiorno e la Sicilia considerati un costo per la collettività e che mal si conciliano con lo sforzo di ancorarsi all’Europa e con l’esigenza di tutelare le aree dove si produce e si concentra la ricchezza del paese.
Cosa accadrà quando cesseranno gli ammortizzatori sociali, dal momento che le risorse non sono infinite, e le famiglie hanno raschiato il fondo dei loro risparmi? Cambieranno anche i rapporti sociali, si affievoliranno i valori della solidarietà e della convivenza civile e riprenderà vigore l’economia illegale, la microcriminalità e la mafia troveranno nuova linfa nelle aree più emarginate e disperate. È un quadro a tinte fosche che induce al pessimismo, ma per evitarlo non sono sufficienti gli scongiuri ma occorre agire subito, perché dopo sarà troppo tardi.
Tutti oggi ripongono la speranza nelle risorse che, pare in quantità significative, saranno assegnate alla Sicilia dal Recovery Fund. Nessuno, però, si preoccupa di rimuovere gli ostacoli, come l’esperienza ha dimostrato, che impediscono alla Sicilia di utilizzare presto bene i finanziamenti europei che in larga parte rimangono nei cassetti e quelli che si spendono, distribuiti in mille rivoli, non determinano un cambiamento strutturale della nostra economia.
Quale è il progetto di sviluppo per il futuro della Sicilia, come trasformare le idee in progetti, come attrezzare la pubblica amministrazione perché da palla al piede diventi supporto per lo sviluppo? Sono questi i temi su cui sarebbe necessario aprire un subito un confronto per approdare a soluzioni e al pessimismo dell’intelligenza accompagnare l’ottimismo della volontà.