“Indagini fatte male, 20 anni di processi sbagliati, un barlume di luce è arrivata solo con la sentenza del Borsellino quater. Ma quello non è un punto di arrivo, solo un punto di partenza. Oggi c’è un’indagine a Caltanissetta con imputati tre poliziotti. Mentre a Messina di recente hanno archiviato le indagini sui pm dell’epoca (Annamaria Palma e Carmelo Petralia, ndr). Noi, come famiglia Borsellino, abbiamo fatto ricorso contro questa prematura archiviazione fatta dalla Procura di Messina”.
È il duro affondo di Fiammetta Borsellino, la figlia del giudice Paolo Borsellino ucciso il 19 luglio 1992 in via D’Amelio. Dopo 28 anni oggi sappiamo con certezza che ci fu un “colossale depistaggio” nelle indagini, tanto che le sentenze lo hanno definito come “uno dei più grandi depistaggi della storia giudiziaria italiana”.
Fiammetta, che da anni si batte tenacemente a divulgare i contenuti e il messaggio del padre con impegno civile ed etico e con accento educativo e didattico, è intervenuta oggi in videoconferenza al dibattito “Eroi . Costruttori di bellezza”, organizzato dall’Università di Messina.
Anche il magistrato Maurizio De Lucia (Procuratore della Repubblica di Messina) ha partecipato al dibattito online. «Molte cose si dovevano fare meglio. Ci sono stati degli errori imperdonabili dello Stato – ha detto De Lucia – la magistratura, me compreso, non è riuscita nella migliore delle ipotesi a superare la grande macchia, il grande vuoto che c’è nella ricostruzione storica di ciò che è avvenuto nella strage di via D’Amelio. L’ufficio che dirigo ha dovuto svolgere le indagini sul depistaggio: è stato un impegno umano molto difficile.
E il fatto che noi non si sia riusciti ad andare oltre alla ricostruzione degli eventi senza individuare i responsabili di quel depistaggio, per me personalmente è una di quelle sconfitte che non potranno mai essere riparate. Alcuni dei protagonisti di quelle vicende non ci sono più e ciò rende oggettivamente più difficile la ricerca della verità. Rimane per me un tormento scoprire i veri responsabili di quel depistaggio: è un buco nero che con gli strumenti del Diritto noi non riusciamo a colmare. E questo è fonte di angoscia personale e istituzionale», ha concluso De Lucia.
ANDARE OLTRE LA MAFIA
Fiammetta Borsellino è un fiume in piena: «Rispetto la magistratura, non entro nel merito processuale, ma faremo ricorso alla decisione di Messina», ribadisce.
«Rimane e rimarrà una ferita aperta – ha aggiunto Fiammetta – visto che è passato troppo tempo; le prove si sgretolano e via via muoiono anche alcune persone coinvolte. Quando si cerca di arrivare a livelli oltre la mano armata mafiosa, le indagini purtroppo subiscono questi arresti».
“MIO PADRE NON ERA UN EXTRATERRESTRE”
«Mio padre non era un extraterrestre, era un una persona normale. È troppo facile parlare oggi di eroi, perché l’eroe è qualcosa di irraggiungibile, di inarrivabile; mentre mio padre era una persona semplice, normale, che ha combattuto la criminalità organizzata semplicemente facendo il proprio dovere», ha sottolineato Fiammetta Borsellino. «Chiunque, nel proprio piccolo, può far pratica facendo Antimafia quotidiana. Bisogna dare l’esempio ai giovani, ai ragazzi, per far conoscere loro “il fresco profumo di libertà che si oppone al puzzo del compromesso morale”. Senza fare Antimafia di facciata, che va smascherata. Come diceva mio padre, il vero amore consiste nell’amare ciò che non ci piace per poterlo cambiare. Questa è stata sempre per noi l’unica strada possibile».
L’AFFONDO CONTRO SILVANA SAGUTO
«Qualcuno dopo 30 anni ci ha definito come “dei cretini che continuano a piangere la morte dei nostri familiari”. Mi riferisco alle recenti dichiarazioni dell’ex magistrato Saguto. Sono ferite ancora aperte. Stiamo pagando un prezzo altissimo, soprattutto mia sorella Lucia per il suo stato di salute personale».
PRETENDIAMO VERITÀ E GIUSTIZIA
«Fare memoria non significa fare il ricordo dell’uomo Paolo e basta. Occorre “far proprio” il patrimonio morale e comportamentale che ci hanno lasciato questi uomini. Non c’è memoria se non c’è giustizia. E l’unico modo per onorarli è la ricerca della verità. Noi come famiglia Borsellino pretendevamo e pretendiamo impegno dalla magistratura e dalle forze inquirenti per capire perché sia avvenuta una strage di questo tipo. Mio padre era un morto che camminava e ci sono responsabilità da accertare già su quei 57 giorni tra Capaci e via D’Amelio. Al discorso alla Biblioteca comunale si diede quasi la zappa sui piedi, dicendo di voler esser sentito dalla procura di Caltanissetta. Cosa che non avvenne mai».
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