In Sicilia, sin dall’antichità, la produzione e l’esportazione di grano hanno ricoperto un ruolo centrale nell’economia dell’Isola, subendo, naturalmente, diverse oscillazioni in base alle epoche e ai contesti socio- economici: ad esempio, oggi più che mai si sta assistendo ad una rivalutazione dei grani antichi siciliani. Sicuramente, uno dei periodi di maggior fortuna per il grano siciliano fu il XV secolo, come ha anche scritto Chiara Maria Pulvirenti nel libro “Storia mondiale della Sicilia” curato da Giuseppe Barone, edito nello scorso dicembre da Laterza. Infatti, la studiosa scrive: “Nel corso del Quattrocento lo sviluppo della produzione di grano duro fa della Sicilia un polo d’attrazione per mercanti cosmopoliti da tutta Europa e la trasforma nel cuore pulsante dell’economia mediterranea”.
Gli studi di Orazio Cancila hanno dimostrato che nel 1407- 1408 furono addirittura esportate oltre 120.000 salme di frumento (ricordiamo che una salma corrisponde a una superficie di 17.415,37 m2 di seminativi), una cifra enorme per l’epoca, anche se si trattò di un biennio particolarmente fortunato.
Ma come mai, proprio nel quattrocento, si assistette ad un tale sviluppo della cerealicoltura siciliana? Beh, sembra un paradosso ma la crescita produttiva fu dovuta, in buona parte, agli effetti distruttivi della peste nera del 1348: infatti, il drastico calo demografico di metà Trecento, aveva favorito, sul finire del secolo, una certa abbondanza cerealicola in relazione alla domanda interna che era fortemente diminuita.
In sostanza, c’erano meno bocche da sfamare, per cui, anche se c’erano meno braccia a disposizione per lavorare la terra, fu più agevole avere a disposizione grandi quantità di frumento in eccedenza, ideali per i commerci marittimi, da cui derivarono importanti guadagni. Oltretutto, l’abbassamento demografico aveva determinato non soltanto una situazione favorevole sui mercati, con un abbassamento dei prezzi e una maggiore disponibilità dei prodotti ma aveva anche favorito una redistribuzione dei guadagni, diminuendo le pretese dei signori feudatari nei confronti dei contadini in rapporto alla quantità di prodotti che quest’ultimi riuscivano a ricavare dal loro lavoro.
Però, dobbiamo tenere in considerazione il contesto mediterraneo in cui ci muoviamo: il calo demografico delle regioni europee e mediterranee determinò anche una flessione della domanda cerealicola, per cui, le esportazioni aumentavano esponenzialmente soprattutto se i buoni raccolti dell’Isola corrispondevano con annate di carestie in altre regioni. E poi, come non sottolineare l’interesse che il commercio del grano siciliano suscitava nei confronti dei mercanti stranieri, soprattutto genovesi, pisani, catalani e fiorentini.
Sul peso che gli investimenti stranieri avevano su questo circuito commerciale la storiografia si è divisa, in particolar modo, lo studioso Henri Bresc, ha sostenuto che il regno di Sicilia fosse gravato dai debiti contratti nei confronti d’investitori stranieri ma tale tesi sembra essere stata superata e smentita dagli studi di Stephan Epstein. Quest’ultimo sostenne, analizzando i dati, che in realtà il sistema agricolo siciliano non fosse nelle mani di capitali esteri e che i mercanti stranieri controllavano tra il 5% e il 10% delle esportazioni, detenendo un controllo latifondistico ancor meno rilevante. Inoltre, i mercanti provenienti da altri regni che acquistavano feudi in Sicilia, potevano essere considerati forestieri fino ad un certo punto, trattandosi di uomini abituati a viaggiare e ad entrare in contatto con altre culture, veri e propri cittadini del mondo, che rilevavano terre sull’Isola anche come canale d’integrazione con l’aristocrazia siciliana e aragonese, un modo per poter ottenere influenza e potere politico.
E gli studi dello storico Antonino Giuffrida sui genovesi dimostrano la volontà di questi uomini, attirati dalle possibilità di guadagno derivanti soprattutto dal grano, d’integrarsi, non soltanto in ambito economico ma anche in quello politico e sociale.
Insomma, una Sicilia nella quale siciliani, aragonesi, catalani, pisani, genovesi, fiorentini e non solo, vivevano e lavoravano fianco a fianco, attratti da una terra generosa di prodotti agricoli, primo fra tutti il grano. Una terra, la Sicilia, al centro d’importanti reti commerciali e approdo per mercanti provenienti da ogni angolo del Mediterraneo e oltre.