“Quando viene alla luce, a Cattolica Eraclea, Enrico La Loggia – siamo al 22 febbraio del 1872 – la Sicilia sta vivendo gli ultimi scampoli positivi del governo della destra storica, di lì a qualche anno gli equilibri politici sarebbero mutati con l’avvento della sinistra storica che vide tanti siciliani ai vertici dello Stato.
Enrico nasce in una famiglia dell’alta borghesia terriera di antiche tradizioni risorgimentali, lo zio era Gaetano La Loggia, protagonista delle rivoluzioni antiborboniche e la madre, la milanese Margherita Trolli Bolla, donna di vasta cultura, molto attenta alla questione sociale.
Non è un caso, dunque che da giovane e brillante studioso, il giovane mostri una appassionata attenzione alle problematiche sociali e soprattutto, in una Sicilia ancora fortemente segnata da un’economia latifondista, alla condizione del mondo contadino costretto a vivere in uno stato di inaccettabile sfruttamento.
Il naturale sbocco di questa vocazione non poteva dunque che essere l’incontro con l’idea socialista della quale, tuttavia, ne elaborava una versione abbastanza originale per quei tempi, rifiutando il richiamo, caro a molti militanti, al collettivismo o alla Comune di Parigi.
Il socialismo di La Loggia era, invece, molto vicino alla prospettiva laburista, una sorta di liberal-socialismo che puntava soprattutto sul cooperativismo come strumento per superare le contraddizioni tipiche di una società in cui i rapporti di forza erano fortemente sbilanciati a favore della proprietà fondiaria e marcati dall’intermediazione parassitaria dei gabellotti molto spesso mafiosi.
La vicenda dei Fasci siciliani che, come scrive Carlo Marino, non fu ” una jacquerie di poveracci esasperati mobilitatisi per un’azione eversiva, ..ma un movimento di massa che coinvolse centinaia di migliaia di siciliani…con una vasta e impressionante partecipazione femminile”, attirò la sua attenzione contribuendo alla maturazione della sua visione politica.
A quell’esperienza, il giovane La Loggia, non fece mancare il suo sostegno, anche nel momento in cui, con una insana decisione, il siciliano Francesco Crispi, nel 1894 dava il via libera alla repressione. Ma proprio quell’esperienza, soffocata in modo violento dal generale Morra di Lavriano, lo consolidò nella sua prospettiva cooperativistica e mutualista alla quale dedicò, da allora, impegno e passione, divenendo leader della Federazione delle cooperative siciliane.
Forte di questo bagaglio di esperienze l’ingresso in politica non poteva che essere il suo naturale sbocco. Ma non fu impresa facile, per essere infatti eletto in Parlamento, nelle fila del partito socialista riformista – ciò che avvenne nel novembre del 1919 – dovette aspettare la modifica della legge elettorale con l’introduzione del proporzionale.
A Montecitorio non fu uno dei tanti ma un vero protagonista, grazie al suo notevole patrimonio di conoscenze contribuì infatti ad elevare il tono del dibattito occupandosi, soprattutto, delle problematiche che avevano costituito il nucleo originario del proprio impegno sociale alle quali si era, progressivamente, aggiunto un interesse sempre più pressante per i temi istituzionali legati alla cosiddetta “questione siciliana”.
La situazione in cui versava l’isola e la memoria delle conclusioni a cui era arrivato il Consiglio straordinario di Stato – organo istituito il 19 ottobre del 1860 con il compito di studiare il tipo di amministrazione che si attagliasse meglio all’Isola per conciliare gli interessi dei siciliani con quelli della nazione italiana, del quale aveva fatto parte lo zio Gaetano La Loggia – lo convinsero della necessità di perorare la causa di un forte decentramento amministrativo, strumento necessario per praticare una politica riparazionista che costituiva, nella sua prospettiva, un modo per rendere giustizia all’isola, che era stata trascurata e, perfino, penalizzata dallo Stato unitario.
L’avvento di Mussolini e l’affermarsi della dittatura fascista, spezzarono traumaticamente, il suo impegno politico, fu infatti costretto a ritirarsi rifugiandosi negli studi e nell’attività professionale almeno fino al giorno in cui, crollato rovinosamente il regime travolto dalle macerie di una guerra disastrosa, non sentì il dovere di tornare alle antiche battaglie, questa volta contro un nuovo nemico, il separatismo, che attentava a quell’unità del Paese ch’egli considerava un valore non discutibile. In quel difficile frangente, il suo impegno politico si compendiò in un volume, Ricostruire, nel quale disegnò la sua idea di autonomia regionale contrapponendosi, senza se e senza ma, all’ipotesi separatista che considerava contraria agli interessi dell’isola.
Chiamato a far parte della Consulta, che avrebbe dovuto elaborare il testo dello Statuto regionale, La Loggia ne fu protagonista di primo piano facendo, fra l’altro, accettare ai consultori proprio quell’idea riparazionista che venne poi tradotta nel qualificante art.38 che, appunto, prevedeva un fondo perequativo da versare alla Sicilia a titolo di solidarietà nella esecuzione di lavori pubblici.
Questo suo protagonismo non significò, tuttavia, il suo rientro nella politica attiva – sentiva infatti il peso degli anni ma anche la soddisfazione di avere offerto un contributo decisivo per il futuro della sua terra – ma piuttosto il canto del cigno di una vita impegnata al servizio della società.
Gli anni che gli restarono da vivere li trascorse, infatti, da padre nobile sempre pronto, all’abbisogna, ad offrire il suo contributo di esperienza maturato nel corso del suo lungo impegno civile e sociale. “
Enrico La Loggia l’autonomista: 1872/1960
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