La parola archetipo deriva dal greco antico “αρχέτῦπος” con il significato di immagine: “tipos” (“modello”, “marchio”, “esemplare”) e “arché” (“originale”, “principio”).
In psicoanalisi, potrebbe essere definito come una forma universale del pensiero dotato di un certo contenuto affettivo per il soggetto, dunque un simbolo cui il soggetto crede, si appoggia o è condizionato, consciamente o inconsciamente, nell’arco della sua esistenza o parte di essa, nella realizzazione dei suoi progetti di vita o semplicemente nel suo modo di essere o comportarsi.
Secondo una definizione di Jung, sono modelli funzionali innati che costituiscono e influenzano, nello stesso tempo, la natura umana (Jung 1965). Temi e schemi dominanti nella vita dell’uomo, che si ritrovano in ogni cultura, e che hanno un’eco nei miti, nelle favole, nelle leggende, gli archetipi, come simboli delle stesse energie primarie che animano e originano i comportamenti umani, sono impronte presenti nella psiche come una eredità genetica, come un marchio di appartenenza a una razza, come se la psiche fosse (anche) una sorta di contenitore simbolico che riunisce in un processo dinamico ogni individualità.
Gli archetipi si muovono in questa dimensione, di generazione in generazione, attraversano la nostra identità senza che ne abbiamo alcuna consapevolezza. Essi sono qualcosa di molto più profondo del simbolo, sono la focalizzazione di un simbolo, il seme grazie a cui il simbolo evolve.
L’energia archetipica si esprime in ogni esperienza umana: si evolve da una matrice innata e inconscia, si manifesta come simbolo o come immagine e, in seguito, come sentimento ed emozione. Le emozioni comprendono dolore, amore, entusiasmo, passione, estasi, etc. e costituiscono ciò che dell’archetipo affiora, il livello più cosciente dell’energia archetipica.
Possiamo accorgerci o sperimentare gli archetipi nei sogni e in ogni fase della nostra vita ma, soprattutto, nel momento in cui lasceremo la casa di origine per avventurarci nel mondo, ne potremo sentire la forza, l’azione e l’influenza. Ci confronteremo e scontreremo così sia con l’archetipo del viaggio e della scoperta sia con archetipi che risveglieranno la nostra coscienza e la nostra parte più matura, nel momento in cui diventeremo genitori o saremo immersi nel mondo del lavoro. Sentiremo il potere dell’archetipo femminile, della madre, del maschile, del padre, del fanciullo, etc.. Come accade nel transfert con il terapeuta che è condizionato da questa memoria inconsapevole.
Gli archetipi principali (da cui originano tutti gli altri) sono sette e si considerano in coppie di opposti: femminile e maschile, nemico ed eroe, morte-rinascita e viaggio, mentre l’archetipo del Sé, nucleo fondamentale dell’individuo, sarà centrale e isolato, ma in tensione dinamica con tutti gli altri. Non dobbiamo pensare a essi come qualcosa di tangibile e visibile e non solo perché si manifestano prevalentemente in veste di fantasie e, spesso, rivelano la loro presenza solo per mezzo di immagini simboliche.
Poiché, però, essi sono assolutamente integrati con la coscienza (in condizioni psichiche normali o tendenzialmente sane), non è errato dire che si possano “vedere” e “toccare”. Attraverso gli archetipi l’individuo interpreta ciò che osserva e esperimenta. Gli archetipi sono sia il point d’origine o la causa sia l’effetto, nel senso che vengono rielaborati continuamente dalle società umane. La sopravvivenza dei vecchi archetipi, in epoca moderna, è difficile in quanto legata anche agli esiti della comunicazione di massa. Un film di successo, un libro, una trasmissione televisiva molto seguita possono giocare un ruolo nel ravvivarli o indebolirli e nel crearne di nuovi che non è detto siano positivi.
Anche senza perdere la nostra appartenenza a una cultura ma, anzi, confermandola e sottolineandola, possiamo, appellandoci a un senso di giustizia che accomuni e unisca tutti, evolvere e migliorare i nostri archetipi, le nostre impronte, immagini, simboli. Possediamo una memoria attuale e una genetica. A volte, una patologia si risveglia o si manifesta proprio perché siamo il prodotto di generazioni di esperienze, di ricordi, di traumi.
In quest’ottica, dunque, superare il trauma o elaborare le esperienze costruttivamente, dunque, non è importante solo per se stessi ma anche per i discendenti. Ereditiamo e trasmettiamo anche le ferite e le lacerazioni interiori, non solo i tratti somatici.