È la narrazione che fa di “chi scrive” uno scrittore, ovvero, un grande scrittore, e non sono certo le storie raccontate, sempre secondarie rispetto al fluido narrativo composto dal linguaggio, dalla scrittura, dalla struttura, dallo stile, dalla musicalità, dall’armonia, dal ritmo, dalla cadenza della successione delle parole che riescono – o non riescono affatto! – a catturare (talvolta a imprigionare) l’attenzione e la curiosità del lettore.
E non c’è ombra di dubbio che Sándor Márai appartiene alla categoria dei “grandi scrittori” della letteratura occidentale del Novecento.
Ungherese naturalizzato americano, proprio come Joseph Pulitzer qualche decennio prima di lui, Márai riesce con apparente facilità a narrare di fatti orrendi e terrificanti, con una leggerezza che si trasforma improvvisamente in un fendete di violenta umanità, di naturale esplosione di pulsioni ed agiti non dominati dalla ragione, o se vogliamo, dall’etica e dalla moralità laica o religiosa che sono quelle componenti che apprendiamo con l’educazione e la cultura e che distinguono l’uomo dalla bestia: elementi questi – l’etica e la morale trasmessi di padre in figlio con l’educazione e la cultura – oggi più che mai contemporanei ed attuali! Una narrazione che ha del thriller, del noir, del quale il lettore si accorge quando l’evento è già stato letto e metabolizzato: è questa qualità appartiene ai grandi talenti della letteratura.
Márai sa bene innestare diversi elementi di riflessione su come un essere umano possa modificare la propria natura esistenziale costretta ad adattarsi al contesto nel quale sta vivendo, oppure, a concepire una dimensione di socialità ritenuta “democratica” malgrado la maggioranza di noi occidentalizzati oggi potremmo pensarla in modo diametralmente opposto a quella di Otto, il protagonista della storia che vive una guerra dura e crudele: «Erano in tanti, e tutti uguali, e quali fossero stati in precedenza gli scopi per cui erano vissuti quei corpi che marciavano con le loro giubbe grigie adesso non se lo chiedeva più nessuno; e questo livellamento dei destini, che forse molti potevano avvertire come degradante per la propria dignità umana, lui lo percepiva come una manifestazione di assoluta e pacificante democrazia, di entusiasmante perequazione, e quando volgeva lo sguardo verso l’avvocato ebreo accanto al quale giaceva da qualche settimana nella famiglia della trincea non riusciva a nascondere un sorriso soddisfatto e un po’ orgoglioso: là, sottoterra, erano tutti delle talpe; qualcuno provava ancora a portare il pince-nez o a leggere libri, ma la sera erano tutti intenti a spidocchiarsi».
“Il Macellaio” è il racconto d’esordio di Márai, pubblicato nel 1924, che narra di Otto, un ragazzino tedesco figlio di un’umile famiglia di sellai, che dopo aver assistito in compagnia del nonno alla macellazione di una vacca, scopre di possedere il talento per l’arte di uccidere animali e di voler fare il mestiere del macellaio… ma iniziato questo nuovo lavoro nella grande e caotica Berlino, l’imminente Prima Guerra Mondiale lo costringerà a mettersi alla prova con altre forme di sopravvivenza e di uccisioni che non sono più quelle di animali per sfamare uomini. Il finale è da scoprire come avviene in un ottimo giallo noir. L’autore è certamente da leggere perché brillante e perché possiede il grande talento dell’arte dello scrivere.
Link:
https://www.adelphi.it/catalogo/autore/701
https://www.adelphi.it/libro/9788845933660
Sándor Márai, “Il Macellaio”, Adelphi Ed., 2019, Milano.