Con l’accordo che definisce il tetto degli stipendi all’Ars Gianfranco Miccichè porta a casa l’ultimo miglio su una questione su cui si era complicato la vita. Mettendo infatti subito, praticamente nel primo incontro con i giornalisti, dopo la sua elezione a presidente dell’Assemblea regionale siciliana, il tema della valorizzazione economica delle professionalità dei dirigenti del parlamento siciliano e più in generale dei dipendenti, al centro della sua agenda di lavoro, il presidente dell’Ars non ha poi potuto evitare che si innescasse una reazione a catena.
Che poi questa stessa abbia potuto essere in alcuni casi, a volte, anche ridondante e complessa, ciò è anche possibile.
Ma è altrettanto pacifico che una rivendicazione, socialmente pienamente accettabile, quella per intenderci legata alle parole di Don Cosimo Scordato, non poteva non trovare adeguata cittadinanza nella narrazione della vicenda.
A trattativa conclusa l’amministrazione dell’Ars ha firmato l’accordo con sei delle sette sigle sindacali (Uil, Sindacato consiglieri parlamentari, Sas, Udars, Saap e Osa) che prevede di ripristinare per il prossimo triennio, 2018-2020, le retribuzioni introdotte nel 2015 e in vigore fino allo scorso anno. Non ha partecipato all’incontro conclusivo il Sada, che da solo rappresenta circa il 30 per cento del personale.
I numeri che escono fuori dall’accordo non sono molto diversi dai livelli del 2017: dal primo marzo sono di 240 mila euro lordi per i dirigenti, 204 mila euro per gli stenografi, 193 mila euro per i segretari, 148 mila euro per i coadiutori, 133.200 euro per i tecnici e di 122.500 euro per gli assistenti parlamentari. Per l’anno in corso i dipendenti che sforano il tetto saranno 23. Dal calcolo degli stipendi saranno escluse le indennità di funzione e mansione, corrisposte al personale in 12 mensilità, che oscillano da un minimo di 215 euro lordi (140 euro netti) per le categorie più basse a un massimo di 2.122 euro (1.273 euro netti) per quelle più alte.
L’accordo, forse, non il miglior risultato possibile, è una discreta via di mezzo tra quello che all’inizio si poteva pensare di realizzare e la volontà dei lavoratori di non fare in questa storia troppi passi indietro.
Chi vive ‘il luogo del privilegio’ e si aggrappa al mantenimento di situazioni oggettive di vantaggio non è in sé colpevole, se non nella misura in cui non riesce a capire il disagio che il Paese reale e chi sta seduto dall’altra parte delle cose mette nell’accettare tutto questo.
Se c’è un messaggio che rimane chiaro e netto al centro della scena, dopo questa storia, è che il mondo esterno, quello che contesta, anche rudemente, la prospettiva dorata di certi contesti, attende segnali differenti dal parlamento siciliano.
Li attendiamo, per la verità, un po’ tutti.