Qualche settimana fa, il rapporto “La Condizione dell’infanzia nel mondo – Nella mia mente: promuovere, tutelare e sostenere la salute mentale dei bambini e dei giovani” curato da Unicef, ha fotografato una situazione a dir poco inquietante, secondo cui più di un adolescente su sette, tra dieci e diciannove anni, convive con disturbi mentali diagnosticati. In cifre, significa che quarantasei mila adolescenti, ogni anno, si tolgono la vita. Equivale a dire più di uno ogni undici minuti.
Sono dati che fanno paura, che mettono tristezza, che dovrebbero spingerci tutti ad una seria riflessione: secondo gli esperti, che commentano questi dati così impietosi, così’ tristi, c’è il serio pericolo che i giovani piangano per anni interi le conseguenze psicologiche del Covid 19 e del lockdown. Si: nonostante tutto, anche se ci sono altri guai, al momento, il Covid c’è ancora. In fondo è anche normale che nell’epoca del continuo flusso di notizie, del bombardamento mediatico, della paura, delle restrizioni, i giovani non possano avere la “tempra” di un adulto nell’affrontare questo carico di stress, tanto che gli stessi dati confermano come quaranta giovani su cento siano colpiti da ansia e depressione conclamati. Il carico di lavoro per il cervello di un giovane, talvolta, è veramente troppo potente, e così si scopre che in Europa, il suicidio è la seconda causa di morte tra i giovani nella fascia di età compresa tra quindici e diciannove anni. Prima di essa solo gli incidenti stradali.
Riflettendo bene su questi dati, che lasciano davvero pochissimo spazio ad interpretazioni che non siano quelle a cui possiamo – purtroppo – giungere ben facilmente, c’è qualcosa che non sta funzionando: non riesco a capire se si tratta di poca sensibilizzazione sull’argomento, se si sta prendendo un pochettino sottogamba questa bruttissima tendenza o se, semplicemente, si sta cercando di far finta di nulla. Quello che so per certo è che tutti dovrebbero mettersi nei panni di questi adolescenti, che vivono una realtà assurda, incredibile, inedita, che, di fatto, li rende assolutamente “diversi” dai giovani di qualsiasi altra generazione. Questi giovani si ritrovano a vivere una realtà assolutamente distorta, fatta di restrizioni, di regole che soltanto fino a due, tre anni fa non esistevano nemmeno. Che colpa hanno, quindi, questi ragazzi? Forse quella di ritrovarsi a vivere nel momento sbagliato, consapevoli di stare perdendo gli anni più belli, spensierati e scalmanati della propria vita?
E’ chiaro che tutto questo non può non avere conseguenze sulla psiche di costoro, che vivono questa pressione continua, fatta di mascherine, tamponi, vaccini, green pass, detersione ed igienizzazione continua delle mani, fatta della paura di contagiarsi a scuola, di contagiarsi tra gli amici, dell’impossibilità di fare cose che fanno tutti i giovani, come andare a ballare, fare esperienze, costantemente colpiti da quest’ansia di far qualcosa di sbagliato, anche inavvertitamente, che possa mettere a repentaglio non soltanto la propria vita, ma anche quella delle persone che stanno intorno! Se guardiamo le cose da quest’ottica, viene da sé che è davvero un “carico psicologico” difficile da gestire e trascinarsi!
Chi deve e può fare qualcosa, quindi? Probabilmente, la scuola e le famiglie dovrebbero essere le prime a sensibilizzare e garantire supporto psicologico ai ragazzi, che a volte, magari, preferiscono tenere tutto dentro fino ad esplodere: rivolgersi ad un buon psicoterapeuta, parlare, raccontare le proprie paure, rappresenta un vettore assolutamente fondamentale ed unico nella gestione di tutto questo stress, e di tutte le conseguenze che può portare con sé!
Per i giovani sono davvero tempi tristi: impariamo a ricordarlo, quindi, e cerchiamo di non dimenticarlo quando ci rapportiamo a loro. Mai come adesso hanno bisogno di affetto, vicinanza, ma soprattutto di ascolto. Prima che sia troppo tardi.