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E’ dedicata al conflitto in Ucraina, alle evoluzioni della guerra e al difficile percorso da costruire per arrivare alla pace la puntata numero 197 di Bar Sicilia. Ospiti del direttore responsabile de ilSicilia.it Manlio Melluso e del direttore editoriale Maurizio Scaglione, Nona Mikhelidze, dell’Istituto Affari Internazionale di Roma, e Serena Giusti, della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa.
A fornire una chiave di lettura geopolitica delle vicende ucraine è Nona Mikhelidze: “L’obiettivo principale della Russia è tenere l’Ucraina in quello che considera il suo spazio geoculturale. L’Ucraina dal 2014 si è avviata per l’integrazione verso l’UE, che significava allontanarsi dalla sfera di influenza russa. Sappiamo che Putin cerca da anni, di ricreare quella che probabilmente non sarà la nuova Unione Sovietica, ma comunque di attirare i paesi postsovietici nell’unione economica Eurasiatica, creata appunto da Putin. La decisione dell’Ucraina di integrarsi nelle istituzioni euroatlantiche esclude questa possibilità. Putin per fermare questo passo di integrazione europea dell’Ucraina ha avviato una guerra ibrida, prima con l’annessione della Crimea nel 2014, poi con l’appoggio in Donbass dei separatisti delle repubbliche di Donetsk e Lugansk, quindi proseguendo per tentare di cambiare la situazione politica ‘da dentro’ in Ucraina“.
Fatta chiarezza sul contesto, resta una domanda: perché adesso? Quali sono i motivi che hanno indotto Putin a passare all’azione nei primi mesi del 2022, quando invece la questione ucraina covava sotto le ceneri fin dalla fine della Guerra Fredda? Risponde Serena Giusti “L’attacco è arrivato abbastanza inatteso, anche se c’era già una
massiccia presenza di truppe russe ai confini con l’Ucraina che facevano pensare a una possibile attività di minaccia e deterrenza, ma anche ad un vero e proprio attacco, come in effetti l’intelligence americana aveva messo in evidenza”. Quindi l’esperta dà una possibile spiegazione sul periodo dell’anno scelto per l’azione: “Era qualcosa che era programmato, rientrava in un piano strategico, ci sono fattori anche atmosferici, come il fatto che si doveva agire adesso, prima del disgelo dei terreni che avrebbe fatto rischiare un impastamento dei carrarmati“.
Molto si discute su quanto si quanto si è fatto per evitare il conflitto. L’Europa ha agito con tutti i mezzi a sua disposizione? “Non condivido quella parte del dibattito dei mass media italiani che rimprovera gli attori occidentali di aver fatto poco in questo conflitto – afferma Mikhelidze – L’Europa in realtà si è impegnata nella prevenzione del conflitto. Ricordiamo che subito dopo l’annessione della Crimea e la guerra in Donbass si è creato il ‘Formato Normandia’, insieme a Germania, Francia e Ucraina, che erano appunto i principali mediatori per raggiungere accordi di pace tra Ucraina e Russia, e questi accordi sono stati in effetti raggiunti, gli Accordi di Minsk 1 e 2. Poi non è stato possibile implementarli, ma sia la Germania che la Francia si sono impegnate per risolvere il conflitto. Successivamente sia Scholz che Macron sono andati a incontrare Putin per assicurarlo che nessuno intendeva allargare la Nato o invitare l’Ucraina a far parte dell’alleanza militare occidentale. Queste rassicurazioni non sono bastate perché Putin aveva già in mente di invadere l’Ucraina“.
Nelle ultime settimane i toni degli attori coinvolti non sono stati esattamente diplomatici: “La ricerca della tregua si cerca per degli obiettivi, per degli interessi, per delle vittorie tattiche che si sono ottenute sul campo – spiega Giusti -. Il linguaggio certo non aiuta e in questo senso probabilmente il presidente degli Stati Uniti Biden ha fatto un errore nell’utilizzare quei toni. Un errore perché l’ha detto in un momento di ufficialità, di formalità, e quindi non si si addice al linguaggio formale di un presidente, appunto. La stessa cosa può valere per il nostro ministro degli Esteri. Detto questo dall’altra parte più che toni acerrimi c’è un uso della disinformazione e del travisamento della realtà molto grave e questo sì, può rendere più difficile il negoziati perché si rappresenta la realtà ribaltandola. Quello che da noi chiamiamo guerra dall’altra parte viene chiamata un’operazione militare speciale. Questi ribaltamenti della realtà non servono e sono un impedimento e forse un escamotage per rallentare le trattative”.
Si ringraziano il Polo universitario di Trapani e il prof. Giorgio Scichilone per l’opportunità di avere gli ospiti.