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Analisi del rapporto 2025 Eurispes-Coldiretti

Agromafie in Sicilia: terra di conquista tra caporalato, filiere opache e clima impazzito

martedì 27 Maggio 2025
polizia comiso

Dalla Sicilia a tutta Italia, l’agricoltura sotto assedio. Il business delle agromafie vale 25 miliardi, e l’Isola è tra i territori più esposti. L’analisi del nuovo rapporto 2025 di Eurispes-Coldiretti.

Nel nuovo Rapporto Agromafie 2025 dell’Osservatorio Eurispes-Coldiretti, la Sicilia emerge come uno degli epicentri dell’illegalità agroalimentare. E non è solo una questione di reati. È una questione di sistema.

Sotto il sole e l’ombra: il doppio volto dell’agricoltura in Sicilia

C’è una luce particolare che accende i campi della Sicilia. Una luce piena, tagliente, che danza gli agrumeti e gli alberi d’ulivo, riflettendosi sulle serre che costeggiano la costa meridionale, tra Gela e Vittoria. È la luce della fertilità, della ricchezza possibile. Ma quando tramonta, lascia spazio a un’ombra densa, silenziosa, che si insinua tra le radici: è l’ombra dell’agromafia.

Chi lavora quei campi conosce bene quella doppia faccia. Può capitare di vendere un chilo di melanzane a pochi centesimi e poi vederlo rivenduto, giorni dopo, a Torino o Milano, per dieci volte tanto.

E in mezzo, in quella forbice che schiaccia il produttore e premia l’intermediario, si annidano interessi criminali, pratiche di sfruttamento, complicità. Tutto si muove, tranne la giustizia.

Il nuovo Rapporto Agromafie 2025 fotografa con precisione questa situazione. La Sicilia risulta tra le regioni a maggiore vulnerabilità al fenomeno, con un indice regionale del 23,7%.

I dati provinciali: il caporalato strumento principale dell’agromafia siciliana

Ma sono i dettagli provinciali a rivelare la profondità della penetrazione criminale. Caltanissetta spicca al secondo posto in Italia con un indice di 81,52 su 100, seguita da Ragusa (60,52) e Catania (22,76). Palermo, con un dato pari a 15,43, e Messina, in fascia medio-bassa, completano il quadro .

Le province a vocazione ortofrutticola del sud-est, in particolare, sono tra le più esposte. I terreni del Ragusano, le serre di Vittoria, gli agrumeti del Catanese. Qui si intrecciano produzione agricola ad alta intensità di manodopera, catene di distribuzione dominate da pochi attori, e un clima sociale segnato da crisi economica e abbandono istituzionale.

Uno degli strumenti principali dell’agromafia siciliana è il caporalato, in molte aree evoluto in forme di “sistema” vero e proprio. Il reclutamento della manodopera — spesso straniera e in condizioni di irregolarità — avviene fuori dai circuiti ufficiali. Nessun contratto, salari a cottimo, turni estenuanti, intermediazioni violente.

Il caporale diventa figura chiave: garantisce la forza lavoro, controlla i turni, decide chi può accedere ai campi e a quali condizioni.

Ma il caporalato è solo un pezzo del mosaico. Sempre più spesso, le agromafie penetrano direttamente la filiera agricola attraverso usura, acquisizione di terreni, controllo di cooperative, falsi consorzi e prestanome.

Un sistema opaco che intercetta fondi pubblici, impone prezzi ai produttori, orienta i flussi di mercato.

 

Crisi climatica e filiera iniqua in Sicilia: quando la legalità arretra

La crisi climatica ha dato un colpo durissimo all’agricoltura siciliana. Secondo il rapporto, nel 2024 l’Isola ha subito una delle peggiori annate: tra siccità, alluvioni e grandinate, la produttività è crollata. I danni stimati a livello nazionale sono pari a 9 miliardi, con la Sicilia tra le regioni più colpite.

A questa vulnerabilità fisica si somma una fragilità economica strutturale. Le piccole e medie imprese agricole isolane, molte delle quali a conduzione familiare, faticano a sostenere i costi di produzione, accesso al credito e innovazione.

L’agricoltura siciliana è al tempo stesso moderna e precaria, innovativa e marginale. Ed è in questo spazio interstiziale che si inseriscono le mafie.

Un esempio emblematico è quello delle melanzane lunghe di Vittoria: prodotte a pochi centesimi al chilo, vengono vendute a prezzi moltiplicati nei mercati generali del nord. Il ricarico arriva fino al 1364%. Il produttore resta con le briciole, mentre la ricchezza si sposta verso altri anelli della filiera — trasporto, logistica, distribuzione — spesso controllati da soggetti ambigui.

L’iniquità della filiera alimentare, sottolinea il rapporto, è uno degli elementi che favorisce la criminali. Dove manca equità, dove il lavoro agricolo non è remunerato dignitosamente, dove i costi sono insostenibili, si apre lo spazio dell’illegalità. La mafia, in questo contesto, non appare più con il volto della violenza, ma con quello del business.

 

Il quadro nazionale: un’Italia a rischio sistemico

Se la Sicilia racconta una delle storie più gravi, il quadro nazionale non è meno allarmante. Il giro d’affari delle agromafie ha raggiunto i 25,2 miliardi di euro, quasi raddoppiato rispetto al primo rapporto del 2011. Non si tratta più di un fenomeno locale, ma di una rete strutturata, diffusa, in grado di adattarsi e penetrare ovunque ci sia debolezza istituzionale e ricchezza agricola.

Secondo il Rapporto, le agromafie si sono espanse anche in territori considerati “insospettabili”. Tra le prime dieci province per indice di permeabilità compaiono Forlì-Cesena, Massa Carrara, Pisa, Verona. Le agromafie seguono il cibo, non la geografia. Colpiscono laddove la produzione è elevata, i controlli laschi, la logistica strategica.

 

Rapporto Agromafie 2025

Particolarmente grave è la questione della manodopera agricola. Il modello del caporalato si è trasformato: oggi molte organizzazioni criminali transnazionali agiscono come “agenzie informali” che gestiscono i flussi migratori legati al lavoro nei campi. Dall’India, dal Bangladesh, dall’Africa, migliaia di lavoratori vengono reclutati, trasportati e inseriti in un sistema informale e irregolare, spesso con debiti contratti per il viaggio che li rendono ricattabili.

L’agromafia, oggi, non è più solo repressione. È gestione delle filiere, controllo dei prezzi, manipolazione delle etichette, frode sull’origine dei prodotti, speculazione sui fondi europei. È una verticalizzazione completa della filiera illegale.

L’obiettivo principale sono i fondi pubblici e il controllo di mercati e appalti, con l’aiuto di professionisti compiacenti e documenti falsi. Ma le infiltrazioni si estendono a ristorazione, mercati ortofrutticoli e grande distribuzione, senza risparmiare vere e proprie le frodi alimentari, con prodotti adulterati o senza etichetta, spesso venduti nei discount. I settori più colpiti sono vino, olio, mangimi e riso, usando agrofarmaci vietati e false certificazioni bio da importazioni dell’Est Europa. Un capitolo a parte è poi rappresentato dal dilagare dell’Italian Sounding e delle frodi sul packaging.

 

Proposte e visione: ripartire da legalità e filiera etica

 

Il rapporto si chiude con un appello forte: senza un intervento strutturale, il rischio è che l’agricoltura italiana — e siciliana — venga definitivamente colonizzata dalle mafie. Per evitarlo, serve un mix di normative, investimenti e cultura della legalità.

Le proposte chiave partono da un punto centrale: l’etichettatura obbligatoria dell’origine delle materie prime, in particolare nei prodotti trasformati. Sapere se il pomodoro arriva da Ragusa o dallo Xinjiang (dove secondo il rapporto si produce con manodopera uigura sfruttata) è un diritto del consumatore e uno strumento di trasparenza.

Altre misure fondamentali includono la digitalizzazione dei controlli, unificati e incrociati tra forze dell’ordine, ispettorato del lavoro, Asl e autorità giudiziaria; l’estensione del “modello Foggia” con trasporto pubblico agricolo e liste controllate dei braccianti; premi e incentivi per le imprese virtuose che investono in legalità.

agromafie

In Sicilia, queste misure potrebbero significare molto. Potrebbero salvare cooperative schiacciate dai prezzi imposti, produttori biologici soffocati dalla concorrenza sleale, territori rurali in abbandono. Potrebbero sostenere il lavoro dei giovani agricoltori, delle donne in agricoltura, delle comunità che resistono.

Ma la questione è anche culturale. Va rieducato il rapporto tra cittadino e cibo. Va raccontato che il “Made in Italy” non è solo un’etichetta, ma una filiera che ha bisogno di trasparenza, di giustizia, di dignità. Va capito che mangiare bene è anche un atto politico.

La Sicilia, da terra saccheggiata, può diventare avanguardia. Se saprà rivendicare le sue eccellenze, proteggere chi lavora onestamente, denunciare chi specula, costruire alleanze tra produttori, istituzioni e società civile. È una sfida che riguarda tutti. Perché quello che accade nei campi, prima o poi, arriva sulla nostra tavola.

 

LA PIAGA DELL’ITALIAN SOUNDING

Un altro fenomeno insidioso è rappresentato dall’Italian Sounding, ovvero il commercio di prodotti che di italiano hanno il nome o segni distintivi sulla confezione ma che in realtà non hanno alcun legame produttivo con il nostro Paese.

Il caso più evidente è quello dell’agropirateria internazionale, di cui il Parmesan, clone di Parmigiano Reggiano e Grana Padano, o le varie imitazioni del Prosecco (l’ultimo, il Calsecco californiano) rappresentano i simboli più noti. Un mercato che ha raggiunto il valore record di circa 120 miliardi di euro, pari a quasi il doppio di quello dell’export agroalimentare totale.

Ma a danneggiare gli agricoltori e i consumatori italiani è anche l’Italian Sounding di casa nostra, quella zona grigia dove, grazie al principio di ultima trasformazione contenuto nell’attuale Codice doganale, è consentito spacciare per cibo italiano quello che italiano non è.

Uno scandalo che ha portato oltre diecimila agricoltori della Coldiretti alle frontiere, dal Brennero ai porti di Civitavecchia, Salerno e Bari, per chiedere un cambio di passo, con una raccolta di firme per una legge popolare che garantisca l’introduzione dell’obbligo dell’indicazione del Paese d’origine in etichetta su tutti i prodotti alimentari in commercio nell’Unione Europea.

 

DALL’EUROPA ALLA CINA: LA RETE GLOBALE DELLE AGROMAFIE

Se l’Italia si è dotata di un sistema sanzionatorio e di controllo all’avanguardia, il rischio è che il fenomeno “agromafie” sia sottovalutato nel resto d’Europa. Un pericolo tanto più grave se si considera la dimensione ormai sovranazionale dell’azione dei sodalizi criminali. L’individuazione delle agromafie in Europa – denuncia il Rapporto ‒ risulta estremamente deficitaria.

Oltre che in Italia, gruppi criminali organizzati che operano nel settore primario sarebbero stati individuati in Austria, Belgio, Germania, Slovacchia, Spagna e Paesi Bassi. Tuttavia, le loro attività non risultano monitorate e catalogate con sistematicità.

Un discorso a parte merita il caso delle attività legate alle mafie cinesi, che starebbero aumentando l’interessamento per il settore agricolo, mediante l’acquisto di terreni e aziende di piccole dimensionni, e per la stessa logistica.

 

IL REATO DI AGROPIRATERIA: UNA RISPOSTA A TUTELA DELLA FILIERA AGROALIMENTARE E CONSUMATORI

La presentazione del Rapporto coincide con l’approvazione del disegno di legge che introduce, su iniziativa del ministro Lollobrigida, nel Codice penale un nuovo titolo dedicato ai delitti contro il patrimonio agroalimentare, accogliendo le proposte della cosiddetta “Legge Caselli”.

Francesco Lollobrigida, ministro dell’Agricoltura e della Sovranità alimentare

Il ddl, introduce importanti misure per tutelare la filiera agroalimentare e i consumatori, con particolare attenzione alla repressione delle frodi. Tra le principali novità, spicca l’introduzione del reato di frode alimentare, che punisce tutte le condotte ingannevoli nella produzione e commercializzazione di alimenti, soprattutto quando danneggiano il consumatore su qualità, quantità o provenienza dei prodotti.

Viene inoltre istituito il reato di commercio di alimenti con segni mendaci, per contrastare false etichettature e indicazioni ingannevoli, e quello di agropirateria, rivolto a chi commette frodi alimentari in modo sistematico e organizzato. Completano il quadro misure più severe per la tutela di Dop e Igp, la possibilità di donare alimenti sequestrati a fini assistenziali e l’introduzione di sanzioni proporzionate al fatturato aziendale, per garantire maggiore equità.

Gian Maria Fara- Eurispes

La crisi internazionale e i cambiamenti climatici stanno mettendo in crisi la filiera agroalimentare, che appare sbilanciata a favore della distribuzione e penalizza i produttori – sottolinea Gian Maria Fara, Presidente dell’Eurispes ‒. Molte aziende agricole, pur operando nel contesto del successo del Made in Italy, faticano a sostenere l’aumento dei costi, la riduzione delle rese, i prezzi imposti dalla GDO e la difficoltà di accesso al credito. Le mafie, grazie alla loro liquidità, offrono prestiti usurari o acquistano aziende agricole in difficoltà, seguendo un modello simile al land grabbing. Questa nuova strategia punta direttamente alla terra e alla produzione primaria, ampliando il controllo lungo tutta la filiera: dalla produzione ai fondi pubblici, fino alla manodopera sfruttata”.

Vincenzo Gesmundo – Coldiretti

“Per Coldiretti la filiera agroalimentare parte dal lavoratore agricolo e arriva al consumatore: difenderla dalle mafie significa anche garantire il giusto prezzo lungo tutto il percorso – sottolinea il Segretario generale di Coldiretti Vincenzo Gesmundo –. Se i consumatori comprano prodotti a prezzi stracciati, e se settori deviati della GDO o dell’industria acquistano e vendono sottocosto, quel sottocosto qualcuno lo paga — e sono quasi sempre gli agricoltori e i lavoratori agricoli. Erano dieci anni che aspettavamo l’approvazione della proposta di legge elaborata dal procuratore Caselli che ancora nessuno aveva avuto il coraggio di fare e che invece l’attuale Governo ha avuto la determinazione politica di concretizzare, potenziando per la prima volta gli strumenti a disposizione delle Forze dell’ordine e della Magistratura contro la criminalità dell’agroalimentare”.

“Chiediamo ora che il Parlamento proceda a una rapida approvazione definitiva, superando le resistenze trasversali che arrivano da pezzi della grande industria in mano alle multinazionali e da segmenti della GDO”, conclude Gesmundo.

Ettore Prandini – Coldiretti

Coldiretti è da sempre in prima linea contro le agromafie che oggi puntano alla filiera agroalimentare allargata il cui valore è salito alla cifra record di 620 miliardi di euro e con un export da 69,1 miliardidichiara il Presidente nazionale di Coldiretti Ettore Prandini ‒. È stata la prima e unica organizzazione agricola a sostenere con forza la legge sul caporalato. Allo stesso modo, denunciamo lo sfruttamento in ogni parte del mondo perché la problematica delle agromafie non è solo italiana come dimostra il Rapporto”.

“Si va dal caporalato transnazionale allo sfruttamento dei bambini che per noi si combatte anche con accordi internazionali basati sul principio di reciprocità. L’Europa dovrebbe puntare l’attenzione su questi fenomeni utilizzando il modello di controlli e contrasto come quello italiano”, conclude Prandini.

Il rapporto Agromafie 2025

 

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