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I dati

Il “granaio di Roma” non macina più: il momento-no di chi produce pasta in Sicilia

martedì 16 Gennaio 2024

Per la ricchezza della sua terra e il clima mediterraneo, la Sicilia è sempre stata la primaria fonte di grano degli imperi e dei regni antichi. Ancora oggi la Sicilia vanta una vasta selezione di grani autoctoni, i cosiddetti grani antichi, che nel corso dei secoli hanno sviluppato una notevole capacità di adattamento al territorio e al suo clima rendendone facile la coltivazione. Ciononostante, negli ultimi anni la produzione di grani siciliani si è imbattuta in un vicolo cieco da cui non sembra esserci alcuna via d’uscita.

CRISI CLIMATICA E GUERRA

In Sicilia le coltivazioni di grano ricoprono all’incirca 270 mila ettari per una produzione media annua che si aggira intorno alle 773 mila tonnellate, ma l’abbondantegrano produzione non basta a soddisfare il fabbisogno annuo pro capite di pasta dei siciliani che, attestandosi il primato mondiale, sale fino a 40 kg: quasi il doppio del resto d’Italia. Ricorrere ai mercati esteri è indispensabile e l’Italia, infatti, importiamo più del 50% del grano tenero e il 30/40% del grano duro. Paesi come Canada e Francia sono indispensabili per riuscire a riempire gli scaffali dei nostri supermercati, anche se negli ultimi anni sono aumentati gli arrivi da paesi dell’Est, tra cui Russia e Ucraina, le cui produzioni di grano tenero hano incontrato un’importante stop dallo scoppio della guerra.

Ad aggravare la situazione vi sono anche i cambiamenti climatici che hanno intaccato pesantemente le produzioni nostrane. Come ci mostrano i dati forniti da Coldiretti Sicilia e Istat, solo nel 2018 si era registrata la perdita di oltre 12 mila ettari a causa del maltempo. La siccità sta rallentando molto la crescita, nonostante negli ultimi cinque anni la superficie seminata a grano duro in Sicilia abbia mantenuto i suoi numeri, a differenza dei cinque anni precedenti, in cui si è assistito a continui crolli. La produzione di grano tra il 2018 e il 2019 sembra essersi espressa a macchia di leopardo. Un calo significativo è stato riportato da alcuni produttori nella zona del corleonese, dove si parla di un incremento di poco più del 10% rispetto alle scorse annate. Nella zona centro-orientale è rimasta invece costante.

Dati preoccupanti, soprattutto visto il momento di grandi tensioni internazionali dovuto alla scadenza dell’accordo Onu sul commercio di grano nei porti del Mar Nero in Ucraina che, nel luglio 2023, ha permesso a 33 milioni di tonnellate di grano di lasciare i porti ucraini, attraversare il Mar Nero e svolgere così un ruolo indispensabile per la sicurezza alimentare globale.

Nel primo trimestre del 2021 la Sicilia ha importato cereali dall’Ucraina per oltre 1,8 milioni di euro. Il dato Istat sottolinea come nella nostre Regione non si sia seminato in centinaia di ettari e negli ultimi 15 anni sono migliaia quelli non più coltivati a cereali.

LA CRISI DEI PASTIFICI

In Sicilia il vero buco nero della filiera produttiva è costituito dai pastifici. Mentre negli anni Sessanta, nella Regione operavano 175 industrie della pasta, oggi si contano sulle dita di una mano, costringendo il nostro grano e viaggiare verso altre regioni per essere lavorato e causando un conseguente aumento dei prezzi di pasta e pane.

Il calo dei raccolti è stato accompagnato dal taglio dei compensi riconosciuti agli agricoltori che sono scesi del 40% rispetto allo scorso anno. “Non è accettabile – afferma la Coldiretti – che di fronte all’aumento del prezzo della pasta al consumo (che secondo Istat a giugno era pari al 12%), il grano duro nazionale necessario per produrla venga invece sottopagato appena 33 centesimi al chilo agli agricoltori che per potersi permettere anche solo un caffè devono vendere ben 4 chili di frumento”.

“I ricavi non coprono infatti i costi sostenuti dalle imprese agricole e mettono a rischio la sovranità alimentare del Paese con l’abbandono di buona parte del territorio nazionale. Una situazione che – denuncia la Coldiretti – mette in pericolo la vita di oltre trecentomila aziende agricole che coltivano grano spesso in aree interne senza alternative produttive e per questo a rischio desertificazione”.

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