La vostra Patti Holmes, visto che a Catania dal 3 al 5 febbraio si celebra Sant’Agata, vuole farvi penetrare nelle tradizioni dolciarie della città etnea, raccontandovi e dandovi le ricette de “Le Minne di Sant’Agata” e “Le Olivette“.
Le Minne di Sant’Agata, bianche e tonde come il seno femminile, nascono dalla mutilazione che la Vergine, sposa di Cristo, subì da parte del proconsole Quinziano che, vedendosi rifiutato, volle vendicarsi. E’ proprio in ricordo di questo tragico evento che, dal 3 al 5 febbraio e, in seguito, il 12 febbraio, data del suo martirio, troneggiano in tutte le pasticcerie della città o su banchetti improvvisati in ogni suggestivo angolo. Vogliamo ricordare come Agata la Buona, nomen omen, apprendendo la terribile decisione, apostrofò il suo carnefice così: “Non ti vergogni di stroncare in una donna le sorgenti della vita dalle quali tu stesso traesti alimento, succhiando al seno di tua madre? Tu strazi il mio corpo, ma la mia anima rimane intatta”.
La modernità di Sant’Agata
Il coraggio di una giovane donna che si ribella a un uomo potente che, pensando di poter dominare su uomini e cose, si ritrova, invece, a subire un netto rifiuto che non sa accettare ed elaborare. Una storia drammaticamente attuale che vede dei piccoli e vili uomini, che per fortuna sono una minoranza, reagire con violenza, trasformandosi in aguzzini e, troppo spesso, in assassini di compagne, fidanzate oppure sconosciute, colpevoli di non ricambiare le loro attenzioni o di essere divenute coscienti che l’amore non è brutalità.
Le Minne di Sant’Agata, da mangiare rigorosamente in numero pari, come i due seni che le furono strappati, sono diventate simbolo della inviolabile sacralità femminile. Agata, infatti, è rappresentata in ogni dipinto con i seni posati su di un piatto, una immagine tragicamente indimenticabile.
Il richiamo a questo dolce così buono si trova in un celebre passo del celeberrimo “Il Gattopardo” in cui l’autore si chiede come sia possibile che un pasticcino tanto licenzioso non avesse scatenato l’attenzione del severo Sant’Uffizio che avrebbe potuto imporre il divieto di produzione di un dolce così impudico. Forse, fu, il suo sapore “celestiale” a fargli ottenere l’inaspettato beneplacito?
Ci piace ricordare anche un altro libro, “Il Conto delle Minne” di una scrittrice palermitana, Giuseppina Torregrossa, che, spostandosi a Catania, scrive la storia di Agatina, di cui riportiamo un passo che ne racconta la preparazione.
“Agatì, beddruzza mia, comincia a mischiare la farina con la sugna e sentimi bene, che ti devo raccontare una cosa importante. Devi sapere che Sant’Agata, prima di fare miracoli, era una picciuttedda graziosa a tipo te, con la pelle bianca come a una distesa di mandorli in fiore, gli occhi celesti, che sembravano cielo a primavera, le trecce nere, lunghe, lucide di seta, strette con due nastri rosa. Ma lo sai che sei pettinata uguale a lei?”
Il nostro viaggio continua con “Le olivette di Sant’Agata“, dolcetti di pasta reale di colore verde ricoperti di zucchero, di cui vogliamo svelarvi l’origine, sempre legata a Quinziano a cui la martire catanese cerco di sfuggire. Tre sono leggende che vi raccontiamo: nella prima si narra che Agata, inseguita dagli uomini del proconsole, giunta nei pressi del Palazzo Pretorio, fermatasi un attimo a riposare, vide apparire dal nulla un albero di ulivo sotto cui ripararsi e da cui cibarsi; nella seconda, invece, mentre veniva condotta in giudizio, fermatasi ad allacciarsi un sandalo vide, appena il suo piede toccò il suolo, crescere un albero di ulivo; nella terza, infine, si sarebbe imbattuta in un albero di ulivo sterile che, al suo tocco, avrebbe cominciato a fruttificare.
I catanesi, dopo il suo martirio, iniziarono a raccogliere le olive, prodotte dall’albero, per conservarle o donarle come simbolo del risveglio della natura che, a febbraio, nella nostra Sicilia è testimoniato dalla fioritura del mandorlo. Adesso passiamo dalla narrazione alle due golosissime ricette.
Le Minne di Sant’Agata
Ingredienti per 8 porzioni:
Per la pastafrolla
600 g. di farina 00
120 g. di strutto
150 g. di zucchero a velo
aroma di vaniglia
2 uova
Per la Glassa
350 g. di zucchero a velo
2 cucchiai di succo di limone
2 albumi
Per il Ripieno
500 g. di ricotta di pecora
100 g. di canditi
100 g. di scaglie di cioccolato
80 g. di zucchero
Procedimento:
Per la pasta frolla
1. Tagliate lo strutto a dadini e lavorarlo tra le dita insieme con la farina. Quando i due ingredienti saranno ben amalgamati aggiungete lo zucchero a velo, incorporate le uova e la vaniglia.
2. Impastate velocemente fino a quando il composto avrà una consistenza soffice ed elastica, da poterci così affondare le dita e coprite con una “mappina”, lasciandolo riposare.
Per la glassa
1. Montate parzialmente gli albumi con un pizzico di sale.
2. Aggiungete lo zucchero, il succo di limone e continuate a mescolare fino ad ottenere una crema bianca, lucina, spumosa.
Per il ripieno
1. Lavorate la ricotta e lo zucchero fino a farne una crema liscia, senza grumi. Unite i canditi e il cioccolato. Lasciate riposare il frigorifero per mezz’ora circa.
2. Imburrate e infarinate stampini rotondi affinché il dolce abbia la forma di un seno.
3. Stendete la pastafrolla in uno strato sottile. Foderate il fondo degli stampini, farciteli con la crema e chiudeteli con i dischi di pastafrolla. Capovolgeteli sulla piastra unta e infarinata.
4. Cuocete nel forno a 180 per 25-35 minuti. Sfornate e fate freddare su una griglia.
5. Estratta delicatamente ogni cassatina dal suo stampo, fate colare sopra la glassa in modo uniforme, perché tenderà a solidificare in poco tempo. Le semplici cassatelle si trasformeranno in minne piene, bianche, profumate e con una ciliegina candita a richiamare il capezzolo.
Per quanto riguarda “Le Olivette di Sant’Agata“, dovete sapere che, fino al Settecento, la devozione popolare nei confronti della martire catanese era diffusa, anche, a Palermo, prima che il culto di Santa Rosalia prendesse il sopravvento. Nel monastero di Santa Caterina, ad esempio, le olivette venivano preparate dalle monache domenicane per alcune studentesse del pensionato. Dopo anni di ricerca, Maria Oliveri, appassionata di storia e antropologia, ha recuperato e catalogato le antiche ricette conventuali, tra cui questa, nel volume “I segreti del chiostro. Storia e ricette dei monasteri di Palermo“.
Ricetta originale delle “Olivette di Sant’Agata” del monastero di Santa Caterina recuperata da Maria Oliveri
Ingredienti per 20 olivette:
150 g mandorle spellate
150 g di zucchero semolato
1 cucchiaio di liquore rum o strega
la punta di un cucchiaino di colorante alimentare verde in polvere
Procedimento
1. Versare lo zucchero in un pentolino con l’acqua. Portare a ebollizione a fiamma bassa.
2. Appena lo zucchero fila, spegnere il fornello e versare la mandorla tritata. Mescolare vigorosamente e aggiungere il colorante.
3. Continuare a mescolare finché il verde non si diffonde in modo uniforme. Aggiungere il rum, sempre mescolando.
4. Lasciare raffreddare il composto sul tavolo, lavorarlo con le mani e ricavare 20 palline, cercando di ottenere una forma un po’ allungata. Rotolare le olive in un piattino con un po’ di zucchero.
Viva Sant’Agata, amata in tutta la Sicilia.