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Il 2 dicembre 1968

Avola 55 anni dopo: la testimonianza di Orazio Agosta un protagonista di quello sciopero

sabato 2 Dicembre 2023

di Orazio Agosta

Il 2 dicembre del 1968 costituisce una pagina indelebile nella storia delle lotte dei lavoratori italiani. Avevo, allora, 23 anni. Sono passati ben 55 anni da quello storico giorno. Un giorno di lotta che si chiuse con il sangue di Sigona e Scibilia, uccisi dalla polizia, e con quello di 9 feriti versato a Chiusa di Carlo. Quel sangue non fu versato invano.
La notte del 3 dicembre in Prefettura fu firmato dalla CGIL, dalla UIL e dalla CISL dalla parte dei braccianti e dalla Confagricoltura e dalla Coltivatori Diretti dalla parte dei datori di lavoro “un contratto innovativo” che cambiò, radicalmente, i rapporti non solo nelle campagne, ma, anche, in tutti i luoghi di lavoro.
Gli effetti di quel contratto hanno dato molto ai lavoratori italiani ed hanno contribuito allo sviluppo economico e sociale dell’Italia.
Di quello sciopero, di quei giorni, di quel 2 Dicembre, conservo momenti vivi nel mio cuore. Quando ci incontrammo, Saretto Strano, segretario provinciale della Fisba-Cisl, Carmelo Lorefice segretario della Uisba-Uil, ed io, segretario provinciale della Federbraccianti-Cgil, il primo problema che discutemmo fu quello del “mercato di piazza“.
In tutte le riunioni nelle sedi sindacali, i lavoratori ci dicevano che il mercato di piazza faceva scempio di ogni accordo sindacale e di ogni diritto del bracciante.
Avevamo davanti una situazione nella quale il salario e l’orario di lavoro giornaliero venivano decisi dalla prepotenza e dal ricatto dei caporali.
Decidemmo, pertanto, nella preparazione della piattaforma per il rinnovo contrattuale, di puntare sulla richiesta di un “maggiore potere di controllo” dei braccianti e dei sindacati di categoria, limitando al minimo indispensabile le richieste di aumento salariale.
È stato questo l’elemento fondamentale dello scontro con i datori di lavoro che portò alla tragedia del 2 Dicembre 1968.
Ho sentito spesso, in questi anni, giornalisti, commentatori e commemoratori, molti in buona fede, che parlando “dei fatti di Avola“, attribuivano l’ordine di sparare sui braccianti al blocco stradale ed ai massi posti sulla strada che impedivano la circolazione.
No, non fu così!
L’attacco fu premeditato ed era stato preparato in ambienti che ritenevano che l’articolo n.7 punto b del contratto provinciale costituisse una lesione inammissibile del loro diritto assoluto di proprietà.
La richiesta delle commissioni paritetiche e delle loro attribuzioni non era una richiesta che voleva ledere i diritti dei proprietari datori di lavoro, per il semplice fatto che essendo esse composte, ciascuna, da 2 rappresentanti di Confagricoltura ed 1 della Coldiretti e da 3 rappresentanti sindacali, non aveva alcuna possibilità di prevaricare però attribuiva alla commissione la prerogativa di accedere sul territorio delle aziende per verificare il rispetto dei diritti contrattuali e legali dei lavoratori. Una innovazione che metteva in discussione il potere dei “caporali” e che trovò la dura opposizione delle associazioni datoriali nazionali che diedero ordine alle loro rappresentanze provinciali di non firmare quell’accordo di opporsi a e resistere fino a provocare la strage. Una posizione sostenuta ovviamente dai “caporali”
Era anche questo l’ordine impartito dai “caporali” che volevano mantenere il loro potere “di vita o di morte”! Di questo si trattava! Nel “quartino” dei braccianti, nella grande e bella piazza centrale di Avola, “i caporali“ operavano con movenze e “taliatura” (sguardi di traverso e cattivi) degni dei luogotenenti di Genco Russo o di Totò Riina: Tu, ieri (dopo 10 ore di lavoro) ti rifiutasti di caricare la carota sul camion? Statti a casa!
Tu, vuoi essere pagato il lavoro festivo? Statti a casa! Tu, non sei nerboruto, sei debole, hai avuto l’influenza? Statti a casa! Tu, ti lamenti? Pretendi il rispetto dei tuoi diritti contrattuali e legali? Statti a casa! Tu, non vuoi fare, come un servo, quello che ti comando io? Statti a casa!
Queste erano le regole, le violenze del mercato di piazza. In questa realtà, un ruolo determinante, negativo, giocava il funzionamento dell’Ufficio di collocamento al lavoro: apriva alle ore 8,00 e chiudeva alle ore 14,00.
La giornata di lavoro nelle campagne cominciava, solitamente, alle ore 7,00 del mattino e finiva, a quel tempo, dopo le 8 ore contrattuali, alle ore 15; ma poiché, nei fatti, pochissimi rispettavano il contratto, la giornata, dopo 10/11 ore di lavoro, finiva alle 17, quando, in inverno, era già buio. La sera del 2 dicembre, infatti, dopo avere pianto per la strage, si sapeva già dei morti e dei feriti, le migliaia di lavoratori e di cittadini Avolesi e dei Comuni vicini, che gremivano la piazza centrale, sì incolonnarono sul corso ed andarono ad aprire a “calci e spallate “ la porta dell’ufficio di collocamento per reclamarne “l’apertura serale”.
La lotta ed il sangue sparso ad Avola, il 2 Dicembre del 1968, contribuirono, in maniera decisiva, ad una conquista di immenso valore per tutti i lavoratori italiani, di ogni categoria e mestiere.
Nel gennaio del 1969, il ministro socialista del Lavoro, il compagno Giacomo Brodolini, venne ad Avola, espresse sentimenti di solidarietà per la lotta dei braccianti e di sincera commozione per l’uccisione di Scibilia e di Sigona, per i feriti, per i 131 braccianti e sindacalisti denunciati, che esponenti prevenuti di un antico potere “conservatore, reazionario e prevaricatore” tentarono, soprattutto con una esposizione mistificata e falsa degli eventi, di far apparire come responsabili dell’azione di guerra della polizia contro un folla inerme, di braccianti, di donne, madri e mogli e di giovani figli, che, dalle case e dalle scuole erano scesi a Chiusa di Carlo.
No, no e no!!! La polizia non sparò perché la strada era sbarrata dai massi; non sparò perché i braccianti li stavano lapidando.
La polizia sparò sulla folla perché qualcuno, per i motivi che abbiamo detto e “per altri motivi”, di cui nessuno si è voluto assumere la responsabilità di indagare ed approfondire, diede l’ordine di sparare.
Il Questore Politi che alle proteste per telefono dell’onorevole Piscitello rispose: “Onorevole Piscitello, non è possibile, non ho dato nessun ordine di usare le armi, di sparare”, tanto che alcune settimane dopo si dimise per protesta dall’incarico anche perché qualcuno “degli implicati nella trama” cercò di scaricargli addosso la responsabilità dell’eccidio.
Noi sapevamo, peraltro, che in Prefettura, sua eccellenza il prefetto D’Urso aveva posizioni ostili nei confronti dei braccianti in sciopero.
Forse, o sicuramente, se qualcuno avesse indagato sul suo ruolo, qualcosa di interessante e di più vicino alla verità, sarebbe venuta a galla.
Non dobbiamo dimenticare, infatti, che proprio in quei giorni era in corso la trattativa, molto complicata ed osteggiata, per la formazione del Governo Rumor, che (guarda caso!), ottenne la fiducia del Senato il 18 e quella della Camera il 23 Dicembre del 1968 e che ebbe, soltanto, sette mesi di vita.
Davvero è azzardato pensare che il fuoco della polizia, sui braccianti di Avola, fu il primo atto della successiva strategia della tensione che mirava a scardinare le basi della democrazia italiana? Ci sarebbero tanti elementi “da illuminare“ su ciò che accadde quel giorno.
Oggi, però, è il giorno del ricordo e vogliamo ricordare Scibilia e Sigona e i feriti del 2 dicembre 1968 con immensa gratitudine e vogliamo dire loro grazie con tutto il cuore perché nei 55 anni trascorsi il loro eroico sacrificio ha consentito a milioni di lavoratori italiani con lo Statuto dei lavoratori il riconoscimento dei loro diritti e la tutela della loro dignità.

 

 

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