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Per questa sessantesima puntata di “Bar Sicilia“, la rubrica de ilSicilia.it con Alberto Samonà e Maurizo Scaglione, siamo venuti a Portella della Ginestra, a pochi chilometri da Piana degli Albanesi, dove il 1° maggio del 1947 la Banda Giuliano sparò contro la gente riunitasi qui per celebrare la Festa del Lavoro, uccidendo undici persone e ferendone ventisette, tre delle quali morirono nei giorni successivi.
La strage di Portella della Ginestra fu la prima del dopoguerra e da quel giorno scattarono numerosi depistaggi, arrivati fino ai nostri giorni: un eccidio mafioso contro povera gente venuta dalle campagne circostanti, da Piana, San Cipirello e San Giuseppe Jato, per fare festa e celebrare i diritti dei lavoratori. Abbiamo voluto parlare di quella giornata con Serafino Petta, oggi ottantottenne e sopravvissuto all’eccidio, ma anche con Francesco Petrotta, che sull’argomento ha scritto diversi libri, con Ornella Salerno, dell’associazione familiari delle vittime, che a Portella ha perso suo zio, e con Pino Apprendi, presidente dell’associazione Antigone ed esponente politico siciliano.
La testimonianza di Petta è particolarmente preziosa, perchè ricostruisce i concitati attimi di quel giorno: “Eravamo qui per celebrare il 1° maggio, quasi duemila persone. Dopo che il segretario della Camera del Lavoro di San Giuseppe Jato incominciò a parlare si udirono i primi spari; all’inizio credemmo che fossero i botti della festa, ma poi capimmo che non lo erano. Ci fu grande confusione, con gente che fuggiva da ogni parte e che si gettava per terra. Io mi trovavo a una ventina di metri dalla pietra dove c’era il podio per il comizio e accanto a me c’era un ragazzo, Serafino Lascari, che venne colpito e morì”. Petta nel 1947 aveva sedici anni, il ragazzo che cadde sotto il piombo mafioso accanto a lui ne aveva quindici.
“Prima avevo visto mio padre che era sul podio – aggiunge – e provai a raggiungerlo, ma non lo trovai. Per terra vidi due donne, madre e figlia. La figlia era incinta ed era ferita mentre la madre era morta. Poi mi misi a correre per mettermi in salvo e mi nascosi in una buca. Fummo fortunati e appena fu possibile tornammo a Piana”.
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