Specialisti ospedalieri e medici di famiglia si consultano quando un paziente è ricoverato in appena il 15% dei casi. In otto casi su dieci i pazienti arrivano in reparto senza che si sappia nulla dei loro trascorsi in fatto di salute perché il fascicolo sanitario elettronico è aggiornato appena una volta su cinque.
Un vero e proprio blackout comunicativo tra ospedali e i servizi sanitari territoriali.
La fotografia della Federazione dei medici internisti ospedalieri, evidenzia inoltre che in media tre ricoveri su 10 si sarebbero potuti evitare con una migliore presa in carico dei pazienti da parte dei servizi territoriali. Il che in numeri assoluti fa 2 milioni e 250 mila ricoveri evitabili l’anno, pari a uno spreco di circa 6 miliardi, calcolando che il costo medio di un ricovero è di circa 3mila euro. Mentre, a proposito di ricoveri impropri, sono in media il 20% quelli di natura “sociale” più che sanitaria. Ossia di pazienti che si sarebbero potuti assistere anche a casa se solo esistesse un servizio di assistenza domiciliare o una rete familiare in grado di accudirli.
Dai dati emerge, quindi, che la riforma sanitaria territoriale finanziata complessivamente con oltre 7 miliardi del Pnrr, non funziona adeguatamente, nonostante la nuova tecnologia dovrebbe agevolare la gestione del paziente.
L’analisi
“Nonostante le risorse messe in campo per potenziare la medicina territoriale, rimane il problema dell’integrazione tra ospedale e territorio“. A dichiararlo è Salvatore Corrao, docente UniPa e direttore dell’Uoc di Medicina Interna e Lungodegenza dell’Arnas Civico di Palermo.
“La mancanza di comunicazione tra specialisti che lavorano in ospedale ed i medici di medicina generale nel territorio è un fattore critico. Difatti noi che lavoriamo in ospedale soffriamo il fatto che conosciamo poco il paziente che arriva dal Pronto soccorso e, quando lo dimettiamo, siamo costretti a chiedere ai servizi territoriali, ma sempre in un’ottica amministrativa e non di collaborazione tra le varie figure – prosegue -. Le nuove tecnologie agevolano ma dovrebbero essere tarate su percorsi di diagnosi, cura e comunicazione condivisa tra ospedale e territorio. Aver, quindi, le nuove tecnologie e non avere stabilito come le varie figure devono comunicare e, soprattutto, come i servizi devono essere funzionali alla risposta del bisogno di salute del paziente, ci continuerà a condizionare e continuerà a creare una spesa sanitaria non ben amministrata“.
“Invito quindi a concentrare gli sforzi, non tanto su ciò che sembra un obiettivo ma invece è un mezzo come la tecnologia, ma sul definire le migliori metodologie di comunicazione e integrazione tra ospedale e territorio. Inoltre bisognerebbe definire anche a livello legislativo e nel piano cronicità i modelli organizzativi – conclude –. La Regione Siciliana, inoltre, ha uno statuto speciale che potrebbe permettere di concentrarsi sulle problematiche dei siciliani e stimolare una discussione su come gestire la cronicità utilizzando l’ospedale come punto di riferimento, non solo per le emergenze”.
La fotografia
Ricoveri
Partendo dai ricoveri “sociali” questi rappresentano il 20% del totale nel 31,7% delle strutture interpellate mentre la quota supera il 30% nel 15,4% degli ospedali e il 40% nel 4,7% degli stessi, per una media di un ricovero su 5. Nel 34,1% delle strutture si sarebbero invece potuti evitare un buon 30% dei ricoveri con una migliore presa in carico dei pazienti nel territorio.
Percentuale di ricoveri impropri che è di più del 40% nel 33,7% dei nosocomi, mentre in altre realtà ospedaliere la quota di ricoveri evitabili oscilla fra il 10 e il 20%. Solo l’1,8% non segnala ricoveri impropri per carenze della sanità territoriale.
Variegate le azioni che a giudizio dei medici internisti ospedalieri avrebbero potuto evitare ai pazienti di soggiornare in reparto. Per il 32,6% servirebbe un maggior rapporto tra ospedale e territorio, per un altro 32,4% una maggiore offerta di assistenza domiciliare integrata, per il 21% basterebbero le nuove case e ospedali di comunità e per il 13,9% sarebbe necessaria una apertura più continuativa degli studi dei medici di famiglia.
Aggiornamento fascicolo sanitario elettronico e consulti
Per comunicare pur senza parlare uno strumento ospedale e territorio ce l’avrebbero ed è il Fascicolo sanitario elettronico, che dovrebbe contenere tutta la nostra storia sanitaria, dalle patologie che ci affliggono alle terapie che assumiamo al momento di finire in ospedale. Peccato che i medici del territorio, anche per farraginosità burocratiche, non riescano ad aggiornarlo nel 39,3% dei casi o lo facciano raramente nel 41% dei casi.
Le stesse alte percentuali si ritrovano quando si tratta di rilevare il dialogo tra medici ospedalieri e territoriali. I primi nel 71% dei casi si consultano solo raramente con i medici di famiglia e gli specialisti ambulatoriali quando un paziente viene ricoverato, mentre per il 13,7% il consulto non avviene proprio mai. Si verifica invece abbastanza frequentemente appena nel 15% dei casi. La consulenza si attiva sempre appena lo 0,2% delle volte.
La riforma territoriale
Per i medici internisti i maxi ambulatori aperti sette giorni su sette, ossia le case di comunità e gli ospedali sempre di comunità, per il 38,7% non riusciranno ad evitare il ripetersi di ricoveri ed accessi impropri ai pronto soccorso, mentre per il 29,4% potrà influire positivamente ma a patto che la riforma venga modificata.
Per il 42,1% degli internisti ospedalieri, infatti, occorre prima di tutto un provvedimento, ancora mancante, che fornisca indicazioni precise su quali professionisti del territorio e con quale modalità debbano lavorare nelle nuove strutture, mentre per il 27,9% occorrono regole che disegnino il rapporto tra queste strutture e l’ospedale. Il 20,5% servono piattaforme informatiche comuni tra ospedale e strutture del territorio, perché anche qualora i medici schierati in quest’ultimo aggiornassero il fascicolo sanitario elettronico, c’è da dire che oggi in molti casi i sistemi informatici delle varie strutture sanitarie, anche di una stessa regione, non comunicano tra loro. Solo per il 9,5% servirebbero invece finanziamenti specifici per il personale delle strutture territoriali.