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Blitz contro le cosche di Brancaccio e Ciaculli: gli affari dei clan dall’acqua alla droga

martedì 17 Maggio 2022

Era la mafia, a Ciaculli, feudo storico di Cosa nostra, a decidere chi poteva irrigare i campi e chi no. Nel regno del “papa” di Cosa nostra, Michele Greco, i boss avevano messo le mani sull’acqua. Soprattutto quella irrigua da fornire ai contadini. La rubavano direttamente alla conduttura “San Leonardo”, del “Consorzio di Bonifica Palermo 2”, la deviavano incanalandola in vasche di loro proprieta’, per poi ridistribuirla nelle campagne. E’ una mafia d’altri tempi quella che viene fuori dall’ultima indagine di carabinieri e polizia che oggi ha portato, a Palermo, a 31 arresti.

Nel mirino degli investigatori, a distanza di tre anni dal blitz che decapitò i vertici delle cosche, sono finiti capimafia, gregari, colonnelli e picciotti dei mandamenti di Ciaculli e Brancaccio. Pronti a riorganizzarsi. L’organizzazione mafiosa, dicono gli investigatori, avrebbe imposto anche le cosiddette sensalerie, vere e proprie mediazioni sulle compravendite di immobili nel territorio. Chi voleva acquistare case e terreni era costretto ad accettate l’intermediazione degli indagati ritenute dagli investigatori estorsioni.

L’inchiesta racconta anche del ritorno dei clan al vecchio business del traffico di droga. E ci sarebbero sempre i clan anche dietro al furto di 20 cartoni con 16mila mascherine Ffp3: le avevano rubate in piena emergenza epidemiologica per rivenderle Molto diffusa a Ciaculli sarebbe stata la coltivazione di cannabis che serviva a rifornire le piazze di spaccio del capoluogo. Mentre dalle “sei piazze di spaccio dello Sperone”, tutte direttamente gestite o comunque controllate dai componenti dei clan, entravano nelle casse di Cosa nostra circa 80.000 euro settimanali. Nel corso delle indagini è emerso che le cosche acquistavano gli stupefacenti dalla Calabria e che il clan di Ciaculli avrebbe avuto a disposizione un arsenale di armi. Uno degli arrestati, Emanuele Prestifilippo, è stato trovato con un fucile da caccia marca Beretta cal. 12 e otto munizioni celate all’interno di alcune balle di fieno accatastate nel maneggio di sua proprietà nella zona di Croceverde Giardini. I militari hanno accertato, infine, che la ‘famiglia’ mafiosa poteva contare anche su numerose armi semiautomatiche gestite e nascoste nelle campagne. Armi che sinora non sono state trovate.

Potente, infine, il racket del pizzo: 50 le estorsioni ricostruite. Vittime dal piccolo ambulante abusivo fino all’operatore della grande distribuzione. L’estorsione non risparmiava neppure un venditore di sfincione (focaccia tipica a Palermo ndr), il quale, dopo aver trovato i lucchetti bloccati con la colla si è rivolto ad uno degli indagati per la “messa a posto”. Come un imprenditore edile pronto a contattare la “famiglia” di Brancaccio per poter costruire senza problemi. Aveva intenzione di acquistare un terreno e ancora prima, come emerge in una conversazione registrata dalla polizia, avrebbe chiesto la protezione alla famiglia mafiosa per non incorrere in furti, rapine o danneggiamenti.

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