Entro fine mese dovrebbe essere chiusa l’inchiesta sulle firme false depositate per sostenere la lista del M5S alle ultime comunali a Palermo. Come ha dimostrato una perizia grafica della Procura, oltre duecento sarebbero state effettivamente falsificate. La “risposta” degli esperti aggiunge un importante tassello all’inchiesta aperta nei mesi scorsi dai magistrati e che coinvolge 13 persone: parlamentari nazionali e regionali del movimento, attivisti e un cancelliere del tribunale di Palermo.
Dalla consulenza emergerebbero anche gli autori delle falsificazioni, che sono tra gli indagati. In particolare, c’è la conferma della paternità di alcune grafie: quelle degli attuali deputati regionali Claudia La Rocca e Giorgio Ciaccio e degli allora candidati consiglieri comunali Giuseppe Ippolito e Stefano Paradiso, tutti rei confessi, che avevano accettato di rilasciare il saggio grafico. Un esempio della propria scrittura lo avevano reso anche altre due attiviste, Alice Pantaleone (che aveva risposto) e Samantha Busalacchi, che si era avvalsa della facoltà di non rispondere. Non si erano sottoposti al saggio grafico nemmeno altri indagati: Riccardo Nuti, ex candidato sindaco del capoluogo, le deputate nazionali Giulia Di Vita e Claudia Mannino, il marito di quest’ultima, Pietro Salvino, più Riccardo Ricciardi, già candidato sindaco e marito dell’altra parlamentare (non indagata) Loredana Lupo. Indagati poi anche l’avvocato Francesco Menallo e il cancelliere Giovanni Scarpello, non sospettati però di avere copiato, ma di avere avuto altri ruoli.
La Digos ha trovato materiale comparativo, incrociando grafie attribuibili agli indagati (riportate cioè in documenti compilati sicuramente da loro) con gli originali delle firme false depositate al Comune. Le persone coinvolte infatti rispondono, alcune per la materiale riproduzione delle sottoscrizioni, altre per il concorso nel reato: sarebbero state presenti o comunque consapevoli che i compagni del movimento ricopiavano dalle originali le firme. La decisione di copiare dalle originali le firme poste a sostegno della lista fu presa a ridosso dalla presentazione delle candidature e si rese necessaria perché le originali non erano utilizzabili per un errore nella compilazione delle generalità di un sostenitore. A confermare i sospetti degli inquirenti la “confessione” dei due deputati regionali coinvolti.