Mentre oggi, alla zona industriale, si celebra la venuta del premier Paolo Gentiloni per il punto sul “Patto per Catania”, nella giornata di ieri si è consumato il secondo capitolo della vertenza che vede protagonista la Cipi.
Nella sede di Confindustria, infatti, si è concluso con un nulla di fatto l’incontro in sede sindacale per l’esame congiunto relativo alla procedura di licenziamento collettivo annunciato dalla stessa azienda catanese che da oltre cinquant’anni opera nel mercato del marketing e del confezionamento dei gadgets.
Ancora una volta il vertice societario, davanti ai rappresentanti di Ugl, Cgil e Cisl, ha confermato la volontà di dismettere lo stabilimento catanese, dove attualmente lavorano 50 persone, ribadendo la motivazione di non poter più fronteggiare i costi riguardanti il mantenimento del sito e delle risorse umane.
Un nuovo passaggio a vuoto, dunque, con il tavolo che è stato aggiornato al prossimo 26 febbraio, ultimo giorno utile come previsto dalla normativa per trovare un’intesa tra proprietà e lavoratori.
“Ci troviamo di fronte ad un muro di gomma, poiché i proprietari sono decisi ad abbandonare la nostra città lasciando in mezzo ad una strada i lavoratori, e non vogliono sentire ragioni perché ritengono di non aver più liquidità sufficiente da poter investire – spiegano Giovanni Condorelli e Bernardo Cammarata, segretari confederali rispettivamente nazionale e provinciale, che ieri pomeriggio hanno partecipato all’incontro. Siamo sempre più convinti che dietro questa mossa ci sia un preciso disegno che dovrà portare alla trasformazione del brand Cipi da manifatturiero a commerciale. La chiusura della produzione etnea, infatti, legittimerà definitivamente la sede di Milano dove oggi vi sono già gli uffici amministrativi e commerciali, mentre una volta che a Catania non vi sarà più nulla i prodotti verranno importati già pronti dall’estero.
Chi pagherà saranno soltanto i dipendenti dell’unità siciliana e le loro famiglie, che all’improvviso a breve potranno vedersi notificare i licenziamenti e ingrossare le fila, ormai stracolme, della schiera di lavoratori vittime della delocalizzazione. Oltretutto – continuano Condorelli e Cammarata – le motivazioni esposte con relativa documentazione sono poco credibili, considerato che negli ultimi anni il fatturato è aumentato, nonostante per pura visione di impresa le spese per l’acquisto del materiale sono aumentate tenuto conto che prima veniva acquistato sul mercato internazionale ed oggi si compra nell’ambito europeo. Ci troviamo, inoltre, di fronte l’ennesima industria che, nel tempo ha potuto godere degli incentivi statali per consentire alle risorse umane di ricevere svariati ammortizzatori sociali, ma anche che vanta il mantenimento di una sede (quella milanese) il cui costo rapportato sui 20 dipendenti in organico è pari all’intera somma spesa per i colleghi della produzione catanese. Tutto ciò non è per nulla tollerabile e continueremo a batterci insieme a Cgil e Cisl affinchè la chiusura dello stabilimento di Catania venga sventata.”
Sulla vicenda Cipi, intanto, il leader della Ugl etnea, Giovanni Musumeci, ed il segretario provinciale della federazione Ugl chimici Carmelo Giuffrida, hanno inviato una lettera al segretario nazionale di categoria, Luigi Ulgiati, chiedendo un intervento ai più alti livelli istituzionali e ministeriali, ”anche perché questo fatto potrebbe rappresentare un nuovo pericoloso precedente ed invogliare altre aziende locali ad assumere atteggiamenti simili e creare nuove voragini occupazionali”.