Il 5 maggio 2016 vennero notificate varie misure cautelari per dirigenti regionali e imprenditori accusati a vario titolo di: corruzione, abuso d’ufficio, falso in atto pubblico, violazione del testo unico sull’edilizia, violazione del codice dei beni culturali e del paesaggio, violazione di sigilli, distruzione o deturpamento di bellezze naturali. L’operazione prese il nome di “Spiagge libere”.
Tali reati sono stati nuovamente contestati dal pm Alessandro Macaluso durante la requisitoria del processo avvenuta nel tribunale di Termini Imerese e presieduto da Claudio Emanuele Bencivinni, a latere Gregorio Balsamo e Giuseppina Turrisi.
La condanna maggiore è stata richiesta per Giovanni Cimino, 7 anni. Pnea inferiore rispetto a quella invocata per Antonino Di Franco, Salvatore Labbruzzo e Bartolomeo Vitale: 6 anni e 6 mesi. Richiesta di assoluzione per Sergio Impiccichè e di non dover procedere per intervenuta prescrizione per Eleonora Marino, Giorgio Bulferi Bulferetti e Serafina Brocato.
I protagonisti dei fatti sono Antonino Di Franco, ex dirigente del Demanio marittimo dell’assessorato regionale al Territorio. Nei mesi antecedenti all’operazione «Spiagge libere» il lido Poseidon di Cefalù, di proprietà di Giovanni Cimino, imprenditore a capo di un gruppo che opera nel settore della ricezione turistica, finì sotto sequestro per una serie di presunte irregolarità
Da quel momento hanno avuto atto una serie di attività per regolarizzare qualsiasi abuso e il prezzo per questo primo sforzo era quello di assumere il figlio di Di Franco.
Sono inizate una serie di rassicurazione e di attività per la figlia che sarebbe statat assunta nella stagione estiva in un lido di Palermo come copertura al fatto che possedeva un’auto.
Di Franco tramite Bartolomeo Vitale, braccio destro di Cimino e presidente dell’Associazione Operatori Balneari di Cefalù, avrebbe anche rivelato notizie coperte dal segreto d’ufficio.
Nel caso del Poseidon, Di Franco, in collaborazione con il funzionario Salvatore Labruzzo, avrebbe fatto carte false affinché emergesse che erano stati i poliziotti del commissariato a commettere l’errore di sequestrate il lido. In cambio anche Labruzzo avrebbe ottenuto l’assunzione del figlio. Mentre i dipendenti pubblici si sarebbero adoperati per soddisfare in tempo reale ogni richiesta dell’imprenditore cefalude-se, tanti esercenti di lidi balneari attendevano mesi, se non anni, per il rinnovo di una concessione o, più semplicemente, per subentrare a qualcuno. La denuncia di uno di essi, stanco di aspettare, aveva avviato l’inchiesta.
Per gli inquirenti Cimino negli anni avrebbe controllato l’80% dei lidi e degli stabilimenti balneari di Cefalù e dei dintorni. Nell’estate del 2015 ha addirittura tentato un colpaccio: l’assegnazione temporanea dei pochissimi tratti di spiaggia libera per organizzare una manifestazione, denominata «Mare Luna».
Questa però finì sottole mani del commissariato di Cefalù e della procura di Termini Imerese.L’esito è sttao che la Regione ha bloccato tutto sul nascere.