L’allegra brigata di centrodestra sta salpando per la traversata, lunga e destinata ad accogliere più di una tempesta, che condurrà la coalizione che supporta l’azione di governo di Renato Schifani da qui a giugno prossimo.
Dopo gli annunci a base identitaria di un’area comune di evidenza che prelude a una possibile lista per le Europee che metta, tutti insieme appassionatamente, Fi, Lombardo e Cuffaro è arrivato il” break” di Schifani che ha avuto modo di rendere pubblico il suo disappunto per le nomine dei commissari della depurazione.
Il vertice fissato per l’inizio della prossima settimana ha il compito di registrare al meglio la compagine che, a seguire, si occuperà di incardinare a Sala d’Ercole la legge di riforma sulle ex Province. Il voto per gli enti di area vasta, se ci sarà e se sarà con reintroduzione della modalità diretta dei vertici potrebbe passare da “chance” di casella da chiudere per accordi di coalizione, a ulteriore fibrillazione con relativa “conta” di voti per i singoli partiti. A chi ha fatto notare a Schifani che una lista comune ai vecchi volponi del centro non è una garanzia di elezione di un rappresentante di Forza Italia, il presidente della Regione ha fatto notare che l’obiettivo è il rilancio del “brand” e del simbolo nella prima grossa competizione elettorale dopo la scomparsa di Silvio Berlusconi. Tutto il resto è sacrificabile. Certo, se dovesse poter staccare il biglietto per Strasburgo uno dei fedelissimi, Pietro Alongi, o Marcello Caruso, a Schifani non dispiacerebbe, ma potersi presentare a Tajani con i voti del granaio elettorale di una volta, per il governatore in carica sarebbe anche più importante.
I conflitti di raggruppamento dunque nascondono ben altri significati, al netto pure delle obiezioni specifiche che hanno potuto riguardare la designazione di Fabio Fatuzzo. Persino Gianfranco Micciché, non proprio un “follower” di Schifani, ha raggiunto tutti gli altri sull’idea di un serbatoio elettorale unico per contrastare lo strapotere dei meloniani da qui al 9 giugno, data in cui si dovrebbe andare al voto per il rinnovo del Parlamento europeo. Del sottoclou allestito non farebbe parte la Lega, che con Sammartino, protegge ogni passo del governatore in Sicilia. I salviniani, inoltre, non hanno rinunciato all’idea di un clamoroso ingresso del presidente della Regione tra le proprie fila, qui.
Eppure la corsa con i simboli nel proporzionale renderà inevitabile la separazione per l’appuntamento alle urne.
Certo sarebbe stato difficile, a parti inverse, negli anni del berlusconismo in Sicilia, andare avanti a colpi di bordate singole e significative da parte degli alleati nei confronti del partito di riferimento. Eppure oggi lo scenario nel centrodestra svaria dalla litigiosità intermittente, alla pace blindata o la tregua armata. Quanto sarà possibile proseguire oltre senza una robusta stagione di insidie auto alimentate?
L’interrogativo comincia a serpeggiare anche tra chi nelle opposizioni ragiona di più e in particolare nel Pd.
Il centrosinistra cerca il contropiede a partire proprio dall’elezione degli enti di area vasta, ritenendo di non aver perso il vantaggio iniziale di posizione che avrebbero potuto avere con l’elezione di secondo grado e che contano di poter mantenere in un’atmosfera di conflitto latente degli avversari, territorio per territorio. Tra i “dem” però sere un “frontman” uno che occupi dall’Ars la scena più di quanto non abbiano fatto fino a questo momento i diretti interessati. Uno che ci metta la faccia e occupi la posizione che hanno lasciato Anthony Barbagallo e Giuseppe Lupo all’Ars.