Il flashmob in chiave anti-Salvini partito da Bologna che aveva attraversato l’Italia era arrivato anche a Palermo. Sullo sfondo del Teatro Massimo, la cornice non aveva tradito le attese, dando continuità all’onda lunga della reazione spontanea. Quelli che ti aspettavi, in fondo, c’erano tutti. C’era il bancario che aveva fatto in tempo ad arrivare, l’ex dirigente regionale in pensione, il chirurgo pronto “a fare la notte” a Villa Sofia ma doveva “passare per forza, è straordinario il messaggio di questi ragazzi”.
C’erano gli ex “garibaldini”, nel senso di liceali palermitani del passato pronti a darsi appuntamento con tanto di chat dedicata. C’erano le associazioni, ma anche intere famiglie che alimentavano un circuito dove la curiosità diventa partecipazione e il messaggio contiene, tutta intera, una prospettiva che non ha bisogno di ulteriori spiegazioni. Una platea ampia e folta che copre la piazza, interamente, senza spazi vuoti. S’intravedeva, tra un cartellone e l’altro, l’esclamativo più conosciuto a Palermo (800A il famoso “suca” in codice).
C’era Leoluca Orlando che recitava la parte del “capitano non giocatore”, come nella vecchia Coppa Davis; fa la sua “affacciata” anche la politica di sinistra, ma rimane in ”borghese”.
E oggi?
A distanza di quattro anni che fine hanno fatto le “sardine”?
I politici incompiuti che avevano battezzato infaustamente l’anno del Covid per diventare prima movimento e poi partito politico avevano messo nel mirino tutti i temi utili per fare breccia nel consenso di un mondo dal target ampio: “slegati da ogni partiti e ostili a ogni populismo, ma anche al sovranismo” .
A funzionare poco, anche a Palermo e nell’Isola non è stato comunque il menù, quanto il campo “anti” che ha in fondo delimitato una platea destinata a ragionare a priori. Infine, per colmo di paradosso, entrato in crisi il salvinismo nei cui confronti per contrapposizione era nato il movimento, la bussola si è persa prima ancora di cominciare. Al netto del Covid e di tutto il resto.