In questo momento di estrema criticità che ci vede tutti coinvolti in una violenta pandemia che, giorno dopo giorno, mina la nostra vita quotidiana – anche nei gesti più semplici quali l’abbraccio o la vicinanza fisica – abbiamo voluto fare il punto, specialistico, per comprender meglio, oltre al momento attuale, anche le iniziali incongruenze di comportamento che, nei primi giorni del dilagare del Coronavirus, ci hanno coinvolti direttamente (ne abbiamo parlato qui).
Abbiamo, a tal proposito, rivolto le nostre domande al dottore Francesco Di Nuovo, psichiatra e psicoanalista junghiano.
L’intervista
Psicologicamente come si può spiegare il fatto che la gente, all’inizio, abbia sottovalutato il monito di stare il più possibile in casa?
E’ la legge ‘magica’ del diniego: se non riconosco la presenza di una cosa, questa cosa non esiste. Legge che, verosimilmente, opera sempre tacitamente in qualche anfratto della nostra vita interiore, e che si esprime secondo un gradiente crescente che può giungere fino al guado estremo della follia. Se ne potrebbe dire come di un meccanismo prêt-à-porter, anche per i così detti sani, e che però, in particolare, al cospetto di eventi catastrofici, evacua l’angoscia derivante della percezione della nostra impotenza. Una chiosa, infine, che ha a che fare con la nostra sicilianità e col diniego che può esserle più tipico. Mi rifaccio al Gattopardo del Lampedusa: il nostro atavico sentirci “Dei “, e per questo, al di sopra, persino immuni, rispetto alle calamità più funeste.
In un momento storico in cui i social media sembravano una minaccia per la “socialità classica”, quella fisica, viceversa in questo momento di crisi le persone cercano, più che mai, il contatto fisico. Come se lo spiega?
Ciò non deve sorprenderci. A fronte di angosce estremamente aggressive, si riattiva il bisogno primario dell’essere “tenuti”: in braccio, a contatto del seno materno, la carezza. E’ quell’intreccio meraviglioso di primordiali sensorialità (odore, tatto, suoni) che ci ha accolti al cospetto della nostra angoscia originaria, forse mai del tutto inestinguibile, quella dell’essere venuti al mondo.
In tal senso, forse, la drammatica circostanza presente mette a nudo la fragilità della relazionalità dematerializzata propria del mondo virtuale.
La situazione attuale, ormai allo stadio di pandemia, è una circostanza in cui ci troviamo tutti a vivere, nelle diverse generazioni, per la prima volta. Quali sono le reazioni primarie, dal punto di vista psicologico, che in generale, si possono verificare?
Il diniego, come detto, anzitutto; poi la paura, nelle sue variegatissime forme, quindi l’angoscia, fino alla sua più maligna propaggine, il panico. La paura è un’emozione che ha a che fare con un oggetto definito e che ci spinge al governo del pericolo, attraverso la faticosa elaborazione del pensiero: la buona paura, insomma. L’angoscia è una paura senza oggetto, quindi più facilmente esposta a derive incontrollabili. Rispetto al Virus, si può pensare a un’oscillazione sempre incombente tra paura e angoscia.
E quali, invece, i possibili scenari che si possono ipotizzare con i pazienti “cronici” (coloro che soffrono di attacchi di panico ad esempio)? E cosa ci si può aspettare, dal punto di vista psicologico, una volta che – speriamo il prima possibile – rientri la pandemia?
Certamente, una recrudescenza dei sintomi di base è nell’ordine delle cose. E però, la nostra psiche dispone di un principio di autoregolazione che può attivarsi anche nelle situazioni più impensabili. Di questa possibilità, tanto cara a Jung, dobbiamo sempre dar credito, almeno in linea di principio, ai nostri pazienti. Sul piano del lascito psicologico, non so se aspettarmelo, ma me lo auguro certamente questo sì; mi riferisco alla certezza che non ci si salva da soli, ma grazie a una solidale e responsabile presa in carico del nostri destini, a partire dai piccoli gesti della nostra quotidianità. Il mondo lo si può cominciare a salvare ben lavandosi le mani. Pensi un po’ che succederebbe se dilatassimo ciò a legge suprema dei nostri comportamenti.
Possiamo dare qualche semplice consiglio ai lettori per cercare di vivere questa situazione nel modo meno traumatico possibile,in misura delle proprie risorse ovviamente.
Il consiglio: Hic sunt leones! Non è affatto facile darne, in ragione dell’estrema eterogeneità delle nostre esperienze di vita e di ciò che siamo. Se proprio ne devo dare uno: cogliere l’opportunità che ci si offre sempre in ogni crisi, che è poi uno dei significati forti del termine greco krisis. In questo caso, l’opportunità stessa di fermarci, di trovare dimora nella nostra interiorità, pur al prezzo di affrontare una delle più gravose esperienze della nostra vita, la noia; quella che Thomas Merton apparentava alla polvere, “per cui il mondo, per liberarsene, si tiene sempre in movimento”.