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Il possibile scenario che potrebbe prospettarsi qui in Sicilia, ma anche in tutto il Sud Italia, inizia a preoccupare il Premier Conte. Gli uffici del ministero degli Interni avrebbero avvisato il premier di reali e possibili rappresaglie in tutto il Mezzogiorno.
Il vulnus che potrebbe far scatenare simili reazioni è oramai notizia che viaggia su tutti i quotidiani di Sicilia: la mancanza di liquidità economica dovuta al lock down imposto da Conte per cercare di frenare la pandemia covid-19.
Virus che ha innescato un malcontento sociale soprattutto da persone di classi meno abbienti ma anche da parte da numerosi imprenditori che ad oggi aspettano ancora risposte concrete da Roma. Come già scritto non mancano i gruppi social in cui i palermitani e non, cercano di organizzarsi per programmare blitz ai supermarket, in luoghi simbolo presi di mira già a Palermo, e cercare di afferrare tutto ciò che è possibile.
Certo, i numeri non confortano: mentre il resto del Paese in questi ultimi anni ha risalito la china, la Sicilia lo scorso anno ha toccato il baratro. I dati informano che nel primo trimestre del 2019 l’Isola ha avuto il numero più basso di occupati da quando sono state avviate le serie storiche dell’Istat, nel 1996: i siciliani con più di 15 anni e un lavoro sono un milione 312mila, 38mila in meno rispetto al dato consolidato dell’ultimo trimestre 2018 e 51mila in meno rispetto alla media dell’anno scorso. La Sicilia è ferma con un tasso di disoccupazione del 21,5% dal 2017.
E cosa dire del lavoro in nero? Nulla da fare, neanche l’inasprimento delle pene o dei controlli riesce a frenare il dilagare del sommerso in Sicilia quando si tratta di luoghi di lavoro. A conclusione delle varie attività di controllo portate avanti da ispettori regionali e forze dell’ordine impiegate nelle tre principali provincie siciliane, Palermo, Catania e Messina, viene fuori uno spaccato che fa emergere come il fenomeno non trovi una pausa di arresto o quantomeno di diminuzione. Sostanzialmente rimane sempre lo stesso il livello di irregolarità, quindi di utilizzo totalmente in nero di impiegati o anche parzialmente (più ore lavorate rispetto all’effettivo numero che risulta in busta paga). Nella media quel che risalta è che le aziende che presentano varie irregolarità in Sicilia sono una su quattro, addirittura si sale ad un impiego di un lavoratore in nero su tre. Le ultime attività ispettive “regalano” questo specchio alla Sicilia, dove il mercato del lavoro resta alterato e viziato da questa tragica situazione che ha come stretta connessione anche una scarsa sicurezza nei luoghi di lavoro. Le ultime operazioni hanno confermato questo trend statistico, a cominciare dal Catanese.
Se a tutto questo aggiungiamo la gente che in Sicilia campa alla giornata, parcheggiatori abusivi, venditori ambulanti senza autorizzazioni e tutti quelli che contribuiscono all’economia illegale ora costretti alla serrata, che già da adesso non sanno più come sbarcare il lunario, immaginiamo cosa potrebbe accadere in caso di chiusura prolungata di tutto.
La triste realtà siciliana miscelata alla quarantena obbligata è una bomba sociale che aspetta soltanto di essere accesa.
Ed il fiammifero, a quanto pare, potrebbe avercelo in mano anche Cosa Nostra: un rischio su cui si starebbero concentrando anche le attenzioni degli uomini del ministero degli Interni. Il timore, non sottaciuto da parte dei comparti sicurezza, è che la capacità di controllo sul territorio in alcune zone possa indurre i boss a determinare disordini, facendo leva sul sentimento di insofferenza dei cittadini.