Sono passati molti anni da quando a Palermo la celebre e discutibile frase «Il sospetto è l’anticamera della verità» era il manifesto di una stagione politica. Era la stagione della cosiddetta Primavera di Palermo, rappresentata da quel sindaco Leoluca Orlando, che – nonostante i decenni trascorsi – è lo stesso di oggi.
Per l’orlandismo di quegli anni, un’inchiesta come quella che sabato scorso ha decapitato il consiglio comunale di Palermo, con l’arresto dei capigruppo di PD e Italia viva, di dirigenti e funzionari e di imprenditori, sarebbe stata sufficiente a mettere in atto la leva del sospetto, per chiedere l’azzeramento di tutto.
E invece, l’orlandismo di oggi è quello in cui negli ultimi anni il primo cittadino si è ricostruito una propria immagine con slogan su temi quali l’accoglienza dei migranti o le cosiddette famiglie arcobaleno, dimenticando o mettendo in secondo piano – è la sensazione di molti – il governo della città. Un “vuoto amministrativo”, nel quale si sono inseriti i comitati d’affare – quelli sempre attivi e operativi – che, dall’inchiesta della magistratura, pare abbiano messo attorno allo stesso tavolo politici corrotti, pubblici funzionari, dirigenti infedeli e imprenditori, il tutto con l’occhiolino strizzato di qualche mafioso di ultima generazione.
L’intreccio scoperchiato dai pm, poi, chiama in causa pesantemente i due principali partiti del centrosinistra, il PD e “Italia viva”: il primo non è di certo una forza marginale, ma il partito del sindaco Orlando (nonostante questi continui a ripetere come un mantra “il mio partito è Palermo“), mentre il secondo fino a ieri era guidato da Sandro Terrani, ovvero colui che è stato negli ultimi anni il capogruppo della lista orlandiana per eccellenza, il suo Movimento 139. La stessa lista nella quale – per inciso – era candidata anche la compagna di Giuseppe Monteleone, uno dei dirigenti arrestati.
La sospensione dei due consiglieri coinvolti, alla luce dei fatti, appare solo una prima misura tampone, perché forse sarebbe più opportuno che il governo nazionale – attraverso la prefettura – inviasse gli ispettori al Comune di Palermo ed eventualmente disponesse la misura eccezionale dello scioglimento del Consiglio comunale, con il conseguente azzeramento di tutte le cariche istituzionali. Ma come palermitani, attendiamo un gesto anche da parte di Leoluca Orlando: abbia il sindaco uno scatto d’orgoglio, non quello ideologico e anti salviniano a cui ci ha abituato negli ultimi tempi, ma quello legalitario dei tempi d’oro della Primavera di Palermo che ne hanno decretato la sua fortuna politica. Potrebbe anticipare lui un eventuale provvedimento governativo e, al di là di qualsiasi intervento dall’alto, formulare le proprie dimissioni, motivandole con la necessità di ristabilire nella quinta città d’Italia da lui amministrata i principi di legalità, di correttezza e di trasparenza della pubblica amministrazione, che, stando alle carte dei pm, sono mancati clamorosamente.
Sarebbe questo un segnale di grande unità, di grande responsabilità, e ridarebbe fiducia a una città che si sente presa in giro da una politica sempre più lontana dall’interesse di tutti e sempre più autocelebrativa o nel peggiore dei casi, come evidenziato dai magistrati, protesa al malaffare.
I rimpasti di giunta stanno a zero, caro sindaco. I fatti che si aspettano i palermitani onesti sono altri!
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