Impianti all’avanguardia, tecnologici, multifunzionali, interattivi, centri di ritrovo e attrazione all’occorrenza anche turistica. Il calcio in fondo non è solo ventidue giocatori pronti a inseguire un pallone ma molto di più. L’evoluzione continua e costante degli stadi, per adeguarsi alle esigenze dei propri spettatori, ne è la riprova. O quanto meno è ciò che è avvenuto al di là delle Alpi.
Il Renzo Barbera e gli altri stadi dislocati per la Penisola hanno vissuto per anni nell’immobilismo, esposte all’incuria del tempo che scorre inesorabile.
Simboli anche di rigenerazione e riqualificazione urbana mai portata a compimento. Come per Italia ’90, il ritorno degli Europei (seppur condivisi con la Turchia) potrebbe essere la giusta occasione per rilanciare l’Italia e spostarsi nella stessa carreggiata in cui viaggiano alta velocità gli altri Paesi. Nonostante l’esclusione, novità bussano anche alla porta del club di viale Fante che dopo 34 anni potrebbe mettere mano al suo vecchio gioiellino.
Il futuristico stadio del Palermo non è poi un’utopia. Non c’è ancora nulla di concreto ma l’idea avanzata di una concessione trentennale fa ben sperare, un primo mattoncino per l’edificazione di quella che risalterebbe come una rosa nel bel mezzo del deserto. Un trampolino di lancio non solo per una piazza che ambisce a tornare tra i più importanti palcoscenici calcistici ma per un’intera città.
Mentre il Barbera prosegue il suo restyling, tra bagni, seggiolini e tornelli, cercando di nascondere qualche ruggine qua e là, prosegue l’interlocuzione tra il Comune e la proprietà del Palermo Football Club per la revisione del canone di concessione dell’impianto. Rettificato l’ultima volta nel corso della stagione 2019-20, scadrà esattamente tra due anni, nel 2026. E dunque, questo restringimento dei tempi, a cosa sarebbe dovuto? Tanta roba bolle in pentola e come già anticipato dall’assessore comunale allo Sport Alessandro Anello le mini-concessioni fino a oggi adottate verranno archiviate per introdurre concessioni pluriennali. Anche il sindaco Lagalla ha confermato come l’amministrazione sia “pronta a verificare la percorribilità di quest’ultima soluzione, in analogia a quanto da tempo già avviene per altri grandi stadi comunali italiani“.
L’arrivo del City Group nel capoluogo siciliano ha riacceso le speranze dei palermitani, non solo in termini di ambizioni sportive ma anche sul tema dell’impiantistica. I lavori in corso, e ormai in via di completamento, al centro sportivo di Torretta sono un segnale. Il passo successivo dovrebbe riguardare proprio il Renzo Barbera. Del resto, osservando l’operato della società araba negli altri club satelliti la narrazione si ripete in loop: investimenti onerosi nelle strutture prima e rinvigorimento delle rose dopo. Il lavoro da svolgere c’è e anche molto. Dalla sua ristrutturazione totale, avvenuta grazie ai Mondiali di Italia ’90, l’impianto raramente è stato soggetto a interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria. Lo stato attuale in cui versa ne è la prova. L’esclusione dello stadio rosanero dalla lista per Euro32, ormai quasi un anno fa, fece discutere e riportò in auge tanti “punti deboli“, se così si posso definire, che in realtà erano sempre stati sotto gli occhi di tutti. Il segreto di Pulcinella insomma. Se la competizione europea non sfiorerà la Sicilia avrà comunque il merito di aver riacceso i riflettori sui tanti problemi che affliggono l’impianto: inadeguato, fatiscente e abbandonato a sé.
Al di là delle cifre che verranno concordate, una durata così estesa della concessione permetterebbe una visione più a lungo raggio per la progettazione e la realizzazione di una nuova struttura, senza dover attenersi alle imminenti scadenze. L’esempio più vicino è quello dello Stirpe di Frosinone, la cui gestione esclusiva è stata data in concessione alla società calcistica per 45 anni, a partire dal 2016. Già l’allora patron Zamparini aveva provato a tracciare invano la nuova via ma gli impasse burocratici avevano trasformato la strada in salita, fino a un nulla. Proprio l’estirpazione, quanto meno in parte, di quest’ultimo elemento potrebbe fare la differenza. Una “piaga” che pone il Barbera sullo stesso piano degli altri stadi italiani. Nella penisola l’età media degli stadi è di 68 anni, in Germania di 38 anni, in Inghilterra di 35. Un altro dato importante riguarda la proprietà. Nelle già citate Germania e Inghilterra più dell’80% appartiene ai club o possiede una lunga concessione d’uso mentre in Italia il 24%. Gli unici privati sono: l’Allianz Stadium di Torino, proprietaria la Juventus Football Club, il Mapei Stadium di Reggio Emilia, di proprietà di Mapei Spa, il Gewiss Stadium di Bergamo, proprietaria l’Atalanta Bergamasca Calcio, lo Stadio Zini di Cremona, proprietaria l’Unione Sportiva Cremonese, l’AlbinoLeffe Stadium di Zanica (Bg), proprietaria l’Unione Calcio AlbinoLeffe, e infine il Bluenergy Stadium di Udine, di cui l’Udinese calcio ne è usufruttuaria in diritto di superficie.
Ma a cosa è dovuta questa enorme differenza? Certamente le società non vivono periodi floridi dal punto di vista economico ma i casi di cattivi e indigesti cavilli burocratici hanno rallentato il proliferare di nuove strutture, lasciando il Bel Paese lontano anni luce dalla corsa galoppante degli altri Paesi, che intanto hanno rinnovato e rivisto anche la vecchia concezione architettonica. Ne sanno qualcosa la Fiorentina, il Bologna, la Roma o le milanesi, ormai da tempo in disputa. Probabilmente il caso di Milan e Inter è il più significativo e il “caso” San Siro va al di là dello sport e della politica in sé, pizzicando le delicate corde della storicità e dell’appartenenza culturale, tanto da far apparire impercorribile qualsiasi soluzione posta sul tavolo: dal rifacimento partendo dalle fondamenta già esistenti alla riedificazione in una nuova area. Dopo l’acquisto dei terreni di San Donato l’area sembra la più quotata.
La fine dell’era degli “stadi bomboniera“ immaginati progettualmente per fare da completamento all’offerta televisiva predominante, immaginata come vera espressione del fatto calcistico, è testimoniata dal proliferare di una progettualità mai così vitale. Allo stadio si ci va e si continuerà ad andare, per essere in tanti, urlare e fare tifo. Per tutti gli altri c’è la tv.