Nel corso della prima metà dell’ottocento si conferma il trend di crescita demografica nell’Isola, i siciliani passano dal 1.500.000 circa dell’inizio del secolo agli oltre 2.300.000 rilevati al censimento del 1861.
Questo aumento di popolazione induce e moltiplica la crescita abnorme del consumo del carbone da legna utilizzato per la cucina e per il riscaldamento. Per procurarsi il prezioso combustibile, soprattutto i contadini moltiplicarono lo sfruttamento delle risorse disponibili. Questo comportò come conseguenza il taglio sistematico e indiscriminato di alberi apportando un gravissimo pregiudizio al patrimonio boschivo isolano.
Furono, infatti, tagliati querce, ulivi e, perfino, alberi da frutta una vera e propria devastazione col risultato pratico di rendere il suolo, già di per sé instabile, ancor più vulnerabile. A questa devastazione si aggiunsero i numerosi incendi, in gran parte di natura dolosa per consentire di allargare le aree destinate a pascolo, attività in quegli anni, sicuramente più redditizia.
Un vero e proprio disastro ambientale le cui conseguenze sarebbero state scontate nei decenni a venire. Di fronte a questo disastro il governo non stette con le mani in mano. Soprattutto per iniziativa del ministro, marchese Carlo Afan de Rivera, noto anche per avere avviato – ma non completata – una inchiesta speciale sulle condizioni della Sicilia, il governo borbonico provvide ad adottare infatti una severa legislazione per la difesa del suolo che, tuttavia, non ebbe gli effetti sperati.
Le devastazioni, infatti, non solo continuarono ma, addirittura, si incrementarono e questo perché i membri del corpo di vigilanza, appositamente creato dal governo, si lasciavano facilmente corrompere e non assolvevano i compiti loro assegnati.
Erano soprattutto i gabellotti – che con i campieri si possono considerare espressione di proto-mafia – che, incuranti del mandato diretto a tutelare e garantire le terre ad essi affidate dal signore, avevano trovato e praticavano un nuovo modo di arricchimento. Erano soprattutto loro che, infatti, procedevano a sradicare gli alberi per barattarli in un contrabbando a cui nessuno riuscì a mettere riparo e che, come era conseguenza naturale, ebbe l’effetto di impoverire le campagne dell’isola, desertificare il territorio e di favorire il dissesto idro-geologico di cui l’Isola ieri, come oggi, soffre drammaticamente le conseguenze.