Il potenziale inespresso della Sicilia si estende a chiazza d’olio anche nel campo dell’energia rinnovabile. Impegnata nel vano tentativo di liberarsi dalla morsa di investimenti scadenti o poco efficienti, l’Isola rischia di perdere l’ennesimo appuntamento con l’innovazione e l’evoluzione green. Dalle remote zone interne al mare, non bastano spazi e risorse invidiabili in tutto il mondo se non si è in grado di cogliere e prevedere le sfide del prossimo futuro. Il quadro rispecchia esattamente il fenomeno sulla diffusione dell’eolico offshore.
Le turbine eoliche offshore sono aerogeneratori che sfruttano i venti presenti in mare e sono, attualmente, una delle soluzioni più vantaggiose per la produzione di energia elettrica, sia in termini di quantità sia in termini di impatto e sostenibilità ambientale. In Europa lo hanno compreso già con largo anticipo Regno Unito e Germania, per i quali i parchi eolici offshore non sono più una novità ma una sperimentazione più che avviata e un punto d’appoggio per tagliare il traguardo degli obiettivi fissati dall’Ue.
Grazie alle sue caratteristiche morfologiche, alla conformazione dei fondali marini e ai suoi 8.300 km di coste, l’Italia è stata riconosciuta, in vari studi, ipoteticamente come uno tra i più prolifici mercati mondiali. Numeri importanti che genererebbero circa 1,3 milioni di posti di lavoro e accelererebbero la decarbonizzazione e la transizione verde del Paese. La Sicilia è solo la testa di un treno ancora incapace di ingranare la giusta marcia. Come Sardegna e Puglia, infatti, la regione avrebbe tutte le carte in regola per vestire i panni di portabandiera ma come evidenziato dal decreto Aree idonee, che individua le zone adatte per l’installazione di impianti di produzione di energia rinnovabile, il divario tra la capacità attuale e gli obiettivi energetici per il 2030 sono significativi: rispettivamente il 128%, 115% e il 50%.
Il ruolo incompiuto di portabandiera dell’Isola non riguarda solo l’eolico offshore ma tutto il campo delle energie rinnovabili. In questi mesi, per esempio, a tenere banco è stato il “giallo“ sul bando da 400 mila euro per l’acquisto e l’installazione di impianti fotovoltaici. La storia infinita del regolamento attuativo sul fotovoltaico attualmente non ha ancora avuto un suo epilogo positivo. Il bando è stato ritirato dall’assessore regionale all’Energia Roberto Di Mauro per apportare alcune integrazioni e modifiche all’avviso. Il motivo è legato alla necessità di apportare una piccola variazione di spesa con un apposito disegno di legge “perché le risorse sono andate nei residui e quindi dobbiamo recuperarle attraverso uno specifico provvedimento amministrativo“. Tutto tace ed è difficile comprendere come si evolverà.
Le “incomprensioni” politiche rallentano un processo di evoluzione che ha le sue ripercussioni benevole soprattutto sull’ambiante. Se la diffusione dell’eolico sulla terraferma ha generato negli anni non poche polemiche sull’impatto paesaggistico, quest’ostacolo è stato ampiamento superato con l’offshore, così come i dubbi legati alla sostenibilità dell’ecosistema marino, nella fase di costruzione e installazione delle turbine. Da varie osservazioni, però, è stato notato come i modelli di aerogeneratori ancorati al fondale possano trasformarsi in zone di ripopolamento di flora e fauna mentre l’abbondanza di aree sfruttabili grazie alla tecnologia galleggiante permetterebbe, invece, di evitare intersezioni con le rotte degli uccelli migratori. Da alcuni studi condotti su impianti già esistenti in nord Europa, le strutture su cui tali impianti poggiano formano inoltre un habitat adatto alla riproduzione di microrganismi, alghe e invertebrati, che a loro volta attirano altre specie. Cozze, ostriche, foche, merluzzi e cetacei, protetti anche dall’interdizione alla pesca e alla navigazione nelle aree di installazione, trovano rifugio e la possibilità di nutrirsi e ripopolarsi.
Ma non è oro tutto ciò che luccica e ancora una volta sostenibilità e attenzione a specifici settori, come in questo caso quello della pesca, faticano a trovare il giusto equilibrio. A far suonare un piccolo campanellino d’allarme è stata un’analisi condotta da Legacoop Agroalimentare. Tenendo conto delle geolocalizzazioni attualmente previste, infatti, la costruzione dei 67 impianti eolici offshore, di cui 18 proposti per la Sicilia, progettati nei mari italiani sottrarrebbe una superficie di circa 13.000 km quadrati alle attività di pesca professionale, circa l’11,6%. Un focus sulla fruibilità di superficie marittima per le Gsa (Geographical Sub Areas, le aree in cui è suddiviso il Mediterraneo per la gestione della pesca) interessate dalla futura costruzione degli impianti evidenzia come, per esempio, la GSA 16, l’area marina della costa meridionale della Sicilia, la riduzione della superficie per la pesca a strascico sarebbe del 62,1%. Possibili ripercussioni negative, quindi, ricadrebbero ancora una volta su quest’ultima pratica e sulle marinerie, già messe in ginocchio dalle opprimenti strette europee. Quelle di Mazara del Vallo, Sciacca, Marsala, Trapani potrebbero infatti vedere ridotta la propria superficie di circa 2.680 km quadrati. A rischio sono non solo i volumi di pesca ma anche i livelli occupazionali. Tra le aree più sensibili la Sicilia Sud-Occidentale e quella Ionica, che in totale potrebbero veder vanificare oltre 2.000 addetti.