2ª PARTE
Dopo aver affrontato il tema delle nuove prove che verranno esaminate al processo sul Delitto Agostino (LEGGI QUI LA 1ª PARTE) ilSicilia.it ha sentito anche l’Avv. Fabio Repici, legale della famiglia Agostino.
Domattina sarà all’aula bunker dell’Ucciardone, alla prima udienza, cui presenzierà anche il signor Vincenzo, padre di Nino Agostino, che ha promesso di non tagliarsi la barba fino a quando non avrà giustizia.
Come abbiamo visto nella 1ª PARTE, nel contesto delle nuove indagini è emersa la figura di Francesco Paolo Rizzuto, detto “Paolotto”, nel 1989 ancora minorenne, amico personale di Nino Agostino.
Rizzuto, scrive la DIA, «al momento del duplice omicidio si trovava sul posto e la notte precedente aveva partecipato con Nino ad una battuta di pesca»; in più occasioni avrebbe «reso dichiarazioni false, contraddittorie e reticenti in ordine a quanto accaduto nel giorno e nel luogo in cui fu commesso il delitto ed, in generale, su quanto a sua conoscenza (tale è la contestazione della Procura Generale). Tramite intercettazioni, invero, risulta che lo stesso ha dichiarato ad un proprio congiunto di aver visto Agostino a terra sanguinante e di essersi financo sporcato la maglietta indossata piegandosi sul corpo ormai esanime dell’amico, per poi fuggire buttando via l’indumento, precisando di non aver mai riferito tale circostanza quando venne sentito, poco dopo l’omicidio, dagli organi inquirenti. Per tale motivo Francesco Paolo Rizzuto è stato iscritto dall’A.G. per favoreggiamento personale aggravato».
L’INTERVISTA
Avvocato Repici, come ha preso la notizia della svolta nelle indagini il signor Agostino e del presunto coinvolgimento di Rizzuto?
«Sorpreso, fino a un certo punto. Nel senso che già all’epoca lui aveva il sospetto che la strada in cui fu compiuto il duplice omicidio fosse stata ‘cinturata’ per consentire ai killer di agire indisturbati. Su Rizzuto c’era un rapporto di conoscenza, anche se di più col padre, Cosimo. Non dico che Vincenzo se lo aspettava, ma non è rimasto stranito. Anche perché lui ne parlò di Rizzuto molto prima dell’avviso di conclusione delle indagini».
Cosa pensa lei di questo motorino fantasma?
«Mah… sembra una cosa inventata. Questa versione di Rizzuto viene smentita dallo zio che lo ha visto a piedi. Anche perché il ragazzo aveva dormito in casa di Agostino e non aveva un motorino».
E sulla maglietta insanguinata?
«Qui i dubbi aumentano, perché significherebbe che Rizzuto avrebbe quasi abbracciato Agostino nel momento in cui veniva ucciso. E nessuno dei familiari lo ha visto vicino al cancello. La cosa più importante, per prima cosa, è ricostruire la verità. Quell’intercettazione non si capisce bene, sono mozziconi di frasi. È ovvio che questa maglietta non può averla presa Vincenzo Agostino. Per questo la posizione è da approfondire… esaminando bene le trascrizioni integrali».
Oltre mille pagine, tra intercettazioni, indagini, rivelazioni di pentiti, ecc… Una mole di prove enorme contro Scotto e Madonia, indicati come i due killer. Come mai ci sono voluti 31 anni solo per aprire un processo?
«Si capisce nell’ultimo capitolo delle mille pagine, dedicato al coinvolgimento dei Servizi. La procura generale lo esplicita nella seconda causale del delitto: la prima era la ricerca di latitanti, la seconda è che Agostino “fu ucciso perché era venuto a conoscenza di fatti concernenti segreti legami tra la mafia ed esponenti della Polizia e dei Servizi. Quanto alle modalità con le quali Agostino era venuto a conoscenza dei suddetti segreti legami, divenendo così bersaglio sia dei mafiosi che dei loro referenti all’interno delle istituzioni, è risultato che egli aveva una fitta “ragnatela” di rapporti interpersonali con soggetti vicini o facenti parte dei Servizi, rapporti che, per un verso, gli consentivano di acquisire informazioni per la cattura di latitanti, ma che, per altro verso, lo avevano introdotto in un mondo estremamente pericoloso, frequentato da esponenti delle forze di polizia e dei Servizi taluni dei quali doppiogiochisti: insospettabili segretamente collusi con la mafia”. Quindi – sostiene Repici – è stato venduto da chi doveva lavorare con lui contro Cosa nostra».
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LE CONCLUSIONI DEGLI INQUIRENTI
In base a quanto scritto dagli inquirenti, «emerge con chiarezza e senza alcuna possibilità di dubbio la responsabilità dell’associazione mafiosa per questo omicidio e la convergenza di interessi con soggetti sul pericoloso crinale dei rapporti tra forze di polizia e Servizi di intelligence da una parte, e Cosa Nostra, dall’altro».
I MOVENTI DEL DELITTO
Oltre alla ricerca di latitanti effettuata da Agostino, «le risultanze processuali acquisite hanno consentito di riscontrare anche il secondo livello della causale del duplice omicidio che si intreccia con il primo appena esposto, e cioè la convergenza di interessi di soggetti esterni a Cosa Nostra all’eliminazione di Agostino perché questi nel corso della sua attività underground era venuto a conoscenza dei rapporti tra mafiosi ed i suddetti soggetti, rivelandosi pericoloso ed inaffidabile come se avesse fatto un voltafaccia».
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