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Nel labirinto non ci si perde
Nel labirinto ci si trova
Nel labirinto non si incontra il Minotauro
Nel labirinto si incontra se stessi.
(H. Kern)
La vostra Patti Holmes, essendo in vena di filosofeggiare, vuole condurvi dentro una narrazione in cui potreste perdere o ritrovare la strada. La seconda ipotesi è realizzabile solo se vi fiderete e affiderete a lei, vostra illuminata o fulminata guida, a seconda dei punti di vista. Siete pronti per questo misterioso viaggio? Bene, allora, partiamo.
Il nostro argomento principe sarà il labirinto che, visto nell’immaginario collettivo come luogo “fisico” è, spesso, costruzione “mentale” irta di ostacoli, che lo fa apparire una prigione che ributta “dentro”, non facendo mai arrivare al “fuori”. Ma qual è la sua uscita e, soprattutto, vogliamo trovarla? Chi vuole abbandonarlo deve sapere che dovrà:
- ripercorrere i suoi passi;
- allontanarsi dal passato;
- accogliere un inizio che è, anche, fine;
- rinunciare a ciò che era e abbracciare un nuovo piano dell’esistenza.
Il suo mito è legato a Minosse, re di Creta, che, rifiutandosi di sacrificare un toro inviatogli da Poseidone, provoca nel dio una reazione talmente violenta da indurlo a suscitare in Pasifae, moglie del sovrano, un’insana passione proprio nei confronti dell’’animale, dalla cui unione nascerà il Minotauro, che sarà imprigionata nel famoso labirinto costruito da Dedalo. Quando Androgeo, uno dei figli di Minosse, viene ucciso ad Atene, il re, padre distrutto dal dolore, mossa e vinta la guerra contro il sovrano ateniese “Egeo”, impone che, ogni nove anni, sette fanciulle e sette fanciulli siano dati in pasto alla mostruosa creatura. L’epica vicenda di Teseo, principe di Atene, comincia proprio nel momento in cui, coraggiosamente, si offre volontario.
In Durrenmatt, scrittore, drammaturgo e pittore svizzero, il dedalo è un’immane foresta di specchi in cui la figura del “Minotauro”, letta come vittima innocente, inconsapevole di essere figlio del peccato e incolpevole della sua natura, vede moltiplicata all’infinito la propria immagine.
In Calvino compare la “resa al labirinto”, secondo cui a perdere è chi ne resta fuori e crede di vincerlo, non rendendosi conto, però, che la sua esistenza non è altro che un forzato passaggio dall’uno all’altro.
In Borges, invece, è il vortice dei pensieri che avvolge l’uomo. Labirinto visto come “La biblioteca di Babele”, in cui il mondo è un libro o come ne “Il Nome della Rosa” di Umberto Eco, in cui l’azione si svolge prevalentemente nella grande biblioteca del monastero, luogo di conoscenza e perdizione, centrale e disorientante.
Leggendovi dentro, so che vi starete chiedendo cosa c’entri la Sicilia con questa costruzione che confonde, cela e rivela e io vi rispondo, facendovi cinque esempi.
Cinque labirinti di Sicilia
1.Nel 1986, sul soffitto della “Grotta di Polifemo”, nel litorale del territorio ericino, Giovanni Vultaggio, presidente dell’Archeoclub di Trapani, scopre il “pittogramma”, un arcaico labirinto di tipo classico datato, dall’archeologo Sebastiano Tusa, intorno al 3000 a. C.
2. A Donnafugata ne troviamo uno che, realizzato con muretti a secco in pietra bianca e sorvegliato all’ingresso da un soldato di pietra, presenta la stessa forma trapezoidale di quello inglese di “Hampton Court”, con siepi di rose rampicanti impedenti la vista e lo scavalcamento delle corsie.
3.A pochi chilometri da Castel di Lucio, “Il labirinto di Arianna”(1989), opera di Italo Lanfredini che, rappresentando uno dei primissimi esperimenti di “Land Art” in Sicilia, si rifà proprio all’idea del labirinto cretese, che da un unico percorso conduce dall’esterno al centro e dal centro verso l’esterno attraverso un lungo corridoio alto e a cielo aperto. Il viaggio in questo dedalo ha una durata di una ventina di minuti.
4. Il Labirinto di Monte Pellegrino, composto da 2260 pietre, è stato ideato da Stefano Baldi e realizzato con la collaborazione di Marina Modica. Riproduce la tipologia più antica, cioè l’Unicursale Cretese, in questo caso a 11 spire o lame. Questa suggestiva opera si trova in un’area del Monte nota come “La piana di Mezzo”. È stata scelta una radura di forma circolare, del diametro di 19 metri, che è circondata da pini ed eucalipti.
5.Il Cretto di Burri, il Labirinto di Gibellina. Nel 1983 l’artista Alberto Burri visitando la cittadina, immagina un monumento gigantesco, creato dalle macerie. È un memoriale dedicato alle vittime del terremoto del Belice, ma anche un fil rouge che lega ciò che è stato a ciò che è. Si tratta di una lastra di cemento di 29 acri che ha coperto l’intera area del centro storico, inghiottendo tutto ma, allo stesso tempo, facendo emergere drammaticamente e prepotentemente il passato, lasciando le strade come percorsi labirintici lungo il calcestruzzo.
Concludiamo questo viaggio con la riflessione di Grègoire Lacroix: “L’uomo è nello stesso tempo il labirinto e il viandante che si perde”.