Uno studio dell’Università di Palermo, realizzato insieme ai ricercatori delle Università di Catania, Kore di Enna, Messina e Salerno, ha rivelato che le nanoplastiche derivate da bioplastiche a base di acido polilattico (PLA) possono accumularsi negli organismi acquatici. Queste sostanze, molto usate nel food packaging e considerate un’alternativa “green” alle plastiche tradizionali, possono provocare effetti biologici e morfologici rilevanti.
I risultati, appena accettati per la pubblicazione su Scientific Reports, rivista del gruppo Nature tra le più citate al mondo nel 2024, mettono in dubbio la reale sicurezza dei materiali biodegradabili in ambiente naturale. Lo studio, basato su dati scientifici solidi, invita a riconsiderare la percezione di innocuità di queste sostanze.
La ricerca porta la firma del gruppo di Anatomia Umana e Istologia dell’Università di Palermo, coordinato da Francesco Cappello, responsabile scientifico del finanziamento PRIN PNRR 2022 che ha reso possibile il progetto. Hanno contribuito in prima linea le ricercatrici Federica Scalia e Marta Szychlinska, insieme a colleghi delle Università partner.
Lo studio
I ricercatori hanno esposto embrioni di pesce zebra (Danio rerio), un modello animale ampiamente utilizzato per valutare gli effetti tossicologici di sostanze potenzialmente nocive per la salute umana, e concentrazioni realistiche di nanoplastiche di PLA (PLA-NP). In parallelo, hanno utilizzato microplastiche di polistirene (PS-MPs) come controllo positivo di tossicità.
È emerso che, anche in assenza di malformazioni evidenti o aumento della mortalità embrionale, le PLA-NP si accumulano rapidamente nell’apparato gastrointestinale dei pesci durante la fase di organogenesi. Questo accumulo provoca alterazioni del battito cardiaco e un’attivazione significativa dei marcatori di stress ossidativo e infiammazione in diversi tessuti, con effetti a livello sistemico.
Anche in un modello cellulare di barriera cutanea umana, le PLA-NP hanno dimostrato la capacità di attraversare le membrane cellulari. Ciò solleva seri interrogativi sui possibili rischi per la salute umana derivanti dall’esposizione ambientale a queste sostanze.
Il commento dei ricercatori
“Questi risultati indicano che le bioplastiche di PLA, se disperse nell’ambiente, possono comportarsi in modo simile alle microplastiche di derivazione petrolchimica, mettendo in discussione l’idea che i materiali etichettati come “biodegradabili” siano intrinsecamente innocui per ecosistemi”, afferma Federica Scalia, primo autore dello studio, già ricercatrice all’Università di Palermo e ora professore associato di Anatomia umana alla Università KORE di Enna.
“Il nostro lavoro dimostra che anche i materiali considerati più sostenibili vanno valutati con attenzione, soprattutto quando inadeguatamente smaltiti negli ecosistemi acquatici”, aggiunge Marta Anna Szychlinska, professore associato di Anatomia umana presso l’Università di Palermo, autore corrispondente dello studio, concludendo che: “Solo attraverso studi ancora più approfonditi potremo prevenire rischi ambientali e sanitari inattesi”.
Gli autori sottolineano quindi infine la necessità di proseguire con ulteriori ricerche per comprendere in maniera più precisa i meccanismi molecolari coinvolti e valutare gli effetti a lungo termine su organismi e salute pubblica.




