“Dalle conversazioni intercettate è emerso il manuale del buon estorsore o buon mafioso”. Lo ha dichiarato il procuratore capo di Palermo, Francesco Lo Voi, nel corso della conferenza stampa indetta per fare il punto sull’ “operazione Montagna”, condotta dai carabinieri che hanno smantellato i vertici dei mandamenti e delle famiglie mafiose di Cosa nostra agrigentina.
“I mafiosi agrigentini – ha aggiunto – si definiscono il fiore all’occhiello di Cosa nostra siciliana. Rivendicano il loro ruolo e sottolineano il venir meno a Palermo di personaggi affidabili”. “Rimpiangono i vecchi personaggi di cosa nostra – ha spiegato Lo Voi – ma nonostante tutto continuano a mantenere rapporti con i palermitani. Tra le attività delittuose sono state registrate estorsioni, intestazioni fittizie, voto di scambio, traffico di stupefacenti e truffe ad imprese sottoposte a custodia giudiziaria. Gli uomini d’onore avevano accortezze per non essere intercettati”.
“Dalle indagini – ha continuato – è emerso che i capi mafia agrigentini hanno difficoltà ad individuare i referenti giusti negli altri mandamenti. Inoltre, sono emerse chiare regole organizzative di Cosa nostra. Si parla della provincia, del capo provincia e del capo mandamento. Ma soprattutto viene detto che Cosa nostra si chiama Cosa nostra e non mafia. Il termine mafia è sbagliato“.
E arriva da Lo Voi una notizia sconfortante: “E’ forte la pressione estorsiva sulle imprese commerciali ma duole rilevare che una ventina di imprese hanno subito danneggiamenti che non hanno nemmeno denunciato. Questo conferma l’effetto intimidatorio che Cosa nostra continua ad avere. Cosa nostra c’è ancora – ha aggiunto il magistrato -. Cosa nostra non sarà più quella di venti anni fa ma parlare della sua sconfitta è decisamente prematuro. Il lavoro da fare è ancora lungo”.