Uomini delle istituzioni avrebbero barattato informazioni e favori personali in cambio di posti di lavoro. E’ quanto emerge dall’operazione “Double face” della polizia di Stato di Caltanissetta, che ha portato all’arresto dell’imprenditore Antonello Montante, finito ai domiciliari.
Chi faceva parte del cosiddetto ‘Sistema Montante’, secondo gli investigatori, sarebbe stato pronto a fornire, grazie anche all’accesso alla banca dati della Polizia penitenziaria, notizie su indagini in corso, informando l’imprenditore nel dettaglio circa le dichiarazioni rese da collaboratori di giustizia sul suo conto.
In questo modo Montante avrebbe potuto effettuare un vero e proprio monitoraggio preventivo dei collaboratori di giustizia che avevano riferito circostanze a lui pregiudizievoli, il tutto addirittura prima che le relative dichiarazioni fossero oggetto di verifiche della Procura. Senza contare che alcuni controlli delle Fiamme gialle, in alcune occasioni, sempre secondo gli investigatori, sarebbero stati indirizzati dall’indagato che in questo modo si sarebbe servito della Guardia di finanza per colpire imprenditori “nemici” o che in qualche modo fossero funzionali ai propri interessi.
Gli inquirenti parlano di “sistematico ricorso all’operato di infedeli appartenenti alla Polizia di Stato per carpire abusivamente, attraverso accessi alle banche dati in uso alle forze di polizia, notizie sensibili riguardanti la vita privata di una serie impressionante di soggetti a lui invisi“. Gli inquirenti non hanno accertato scambi di denaro o regali, ma favori personali. In particolare posti di lavoro per familiari ed amici dei sodali di Montante. Come nel caso del colonnello Giuseppe D’Agata, la cui moglie sarebbe stata assunta in una società di Siracusa. Personaggi segnalati da altri indagati avrebbero potuto ottenere posti di lavoro all’interno delle aziende riconducibili a Massimo Romano, l’imprenditore nisseno finito ai domiciliari.