Giuseppe Cesare Abba, nel suo “Da Quarto al Volturno” scrisse “ci pareva un miracolo aver vinto”. La battaglia di Calatafimi – per Garibaldi un successo insperato – è stata al centro di vivaci polemiche storiografiche alimentate dai neoborbonici che l’hanno portata a prova dei tradimenti e delle corruzioni che avrebbero favorito il glorioso esito dell’avventura dei Mille.
Al centro delle polemiche sull’esito dello scontro avvenuto il 15 maggio del 1860, la figura, scialba, del brigadier-generale Francesco Landi, a capo delle truppe borboniche protagoniste dello scontro. La storia della sua presunta corruzione, secondo cui questi avrebbe ricevuto una fede di credito per 14.000 ducati come prezzo del suo tradimento, messa in giro dai neoborbonici per screditarlo, è a lungo circolata e assunta come veritiera dai fedelissimi della monarchia napoletana.
Nella realtà dei fatti, anche per l’impegno del figlio, un ufficiale del regno d’Italia, è stata abbondantemente sbugiardata a e lo stesso Garibaldi, con una lettera, ebbe a smentire la vergognosa accusa che macchiava di infamia la figura del vecchio generale. Ma allora, ci si chiede, come mai i Borbone che disponevano di un così consistente corpo militare, in quella fatidica occasione presero la decisione di abbandonare il campo consacrando la vittoria degli uomini di Garibaldi? La risposta è assolutamente, banale e fa riferimento alla confusione che regnava fra le truppe napoletane poste a difesa della Sicilia e alla sostanziale imperizia e, forse, mancanza del necessario coraggio, di gran parte dei suoi ufficiali.
Il comandante Francesco Landi, fresco di promozione era da poco arrivato in Sicilia e aveva ricevuto l’ordine di raggiungere gli invasori per mettere fine alla loro avventura. Ma, arrivato a Calatafimi, luogo dove iniziò lo scontro, ricevette l’ordine di ripiegare su Partinico per ricongiungersi ad altro contingente e così potere affrontare senza problemi il nemico. Al generale si pose dunque il dilemma, abbandonare il campo che offriva una situazione favorevole ovvero dare battaglia? La decisione di Landi fu il manifesto evidente delle sue incertezze. Infatti, lasciò che lo scontro fosse condotto da un esiguo numero di soldati mentre concentrò la gran parte della truppa nel borgo di Calatafimi per così potere sventare un eventuale accerchiamento da parte del nemico.
L’insufficienza dei militari e l’impeto dei garibaldini condotti dallo stesso “eroe dei due mondi”, fecero dunque la differenza. A Landi, caduto in grande confusione, non rimase che ordinare la ritirata lasciando il campo libero al nemico. Francesco Landi, dopo la caduta di Palermo, fece ritorno con il resto della truppa a Napoli e qui venne subito deferito al tribunale militare il quale prese in esame la sua condotta e quella di altri ufficiali borbonici. Il risultato dell’inchiesta a suo carico non rilevò, però, alcunché di anomalo nella sua condotta, per cui venne assolto dalle accuse. Con la conclusione dell’inchiesta arrivarono anche le sue dimissioni di lì a qualche giorno, però, colpito da un ictus, rese l’anima a Dio.
La leggenda neoborbonica additò a causa dell’ictus al fatto che il Landi, essendosi recato, successivamente al crollo del regno borbonico, a riscuotere il prezzo della corruzione, avesse scoperto di essere stato truffato, e che invece dei 14.000 fantomatici ducati, ne avesse trovati solo 14.