Carissimi
A volte guardo questo foglio bianco e penso tra me e me: “cosa di più posso dire ai miei 24 lettori, che ancora non ho detto? È giusto invitare a sognare un mondo migliore quando tutto intorno a noi va nel verso sbagliato?”
Ho voluto sognare, ma non dormendo, un mondo migliore e vi ho pure dato le regole del gioco, ma ho scoperto subito che pur di non perdere in molti avete afferrato quel poco che c’era nel piattino ed avete cercato delle scorciatoie, oppure vi siete voltati dall’altro lato perché eravate indifferenti a stupide prediche, perché sapevate già che se il gioco ha delle regole, ha anche i suoi punti deboli dove attaccarlo.
Ogni qualvolta mi buttano a terra con l’inganno penso a questo episodio accadutomi quando avevo 20 anni.
Un giorno in un assolato pomeriggio come questo ero seduto in una caserma dei carabinieri difronte a un giovane comandante che stava ultimando le formalità di rito dovute alla raccolta della mia testimonianza su un furto/smarrimento avvenuto nel mio condominio.
Mi guardavo attorno e curiosavo sui tradizionali arredi della stanza di un comandante, dalla foto del presidente della repubblica, la bandiera tricolore, la raccolta dei calendari dell’arma, appesi a mezzo del loro cordone, e mi soffermai su una foto, in cornice poggiata sul basso armadio, dove il giovane comandante riceva una qualche onorificenza da parte di un graduato, un generale penso, un volto a me noto ma in quel momento non mi venne in mente chi fosse.
Terminato, apposte le mie firme, finito il momento ufficiale il graduato mi chiese: “posso farle una domanda?”
Feci cenno di sì e lui continuò “ma alla sua età chi glielo fa fare a continuare a studiare, vivere della paghetta familiare, fare tutti questi sacrifici quando attorno a lei i suoi coetanei magari lavorano, hanno già dei macchinoni, girano con belle donne e forse hanno trovato pure il modo di fare soldi a palate con qualche piccolo illecito, chi vuoi che se ne accorga?”
Risposi sicuro “Tenente, io ho deciso di fare l’ingegnere, fin da piccolo sogno di fare l’ingegnere e cosa vuole che mi importi della vita che nel frattempo faranno i miei coetanei, io tra qualche anno sarò un ingegnere, una persona importante.”
Lui mi sorrise facendomi cenno con la testa che era quella la risposta che si aspettava da me, mi accompagno alla porta della caserma, mi diede una pacca sulle spalle e mi saluto accennando un saluto militare a mo’ di rispetto e simpatia.
Qualche anno dopo, casualmente riconobbi la sua foto nel telegiornale mentre davano la notizia che il “buon Tenente” era rimasto ucciso durante un conflitto a fuoco, poiché pur trovandosi fuori servizio, accortosi che fosse in corso una rapina, non aveva esitato un attimo a fare la “cosa giusta”.
Mi torna spesso in mente quel sorriso di approvazione quando ancora oggi davanti alla scelta più semplice, ma sporca di compromessi e di immoralità, allungo la strada e faccio anche io la “cosa giusta”.
Il mio mondo è pieno di individui che hanno preso le scorciatoie, e che con i compari loro sono riusciti a stravolgere le regole pur di farsi gli affaracci loro, o ancor peggio hanno barato pur di arrivare ai posti dove si governano le regole, per applicarle a loro vantaggio o per colpire gli avversari, ma io “volevo fare l’ingegnere” e il Tenente “aveva fatto la cosa giusta” entrambi a costo di sacrifici, il suo, quello estremo. Ne era valsa la pena?
Fare la cosa giusta per “poter guardare in faccia i propri figli” o “potersi guardare allo specchio”, pure a costo di sacrifici estremi, ne valeva la pena? Diventare icona di commemorazioni in quei riti che ormai si ripetevano stancamente nel tempo, ne era valsa la pena? Chiedetelo agli orfani?
Aver fatto la “cosa giusta” e il proprio dovere, per far fare carriera agli altri e per permettere loro di arricchirsi, sulla vostra pelle, grazie alla vostra cieca obbedienza e lealtà. Ne era valsa la pena?
Aver fatto la “cosa giusta” può non contare più nulla per noi quando per farla abbiamo perso tutto, quando faremo parte di un grande tabellone insieme a tante altre foto di ignoti che hanno fatto ognuno, nel proprio tempo, la “cosa giusta”, ma servirà per gli altri, anche per “la moglie del ladro quando smetterà di ridere”, perché solo così nasceranno altri adolescenti che risponderanno un giorno con orgoglio “fin da piccolo sogno di fare l’ingegnere, l’avvocato, il giudice……”.
“Certe cose non si fanno per coraggio, si fanno solo per guardare più serenamente negli occhi i propri figli e i figli dei nostri figli” (Carlo Alberto Dalla Chiesa – il Generale della foto nella cornice nella stanza del Tenente)