Niente da fare. Alla fine, anche l’ultimo tentativo di trovare un accordo sul ddl enti locali è andato a vuoto. A Sala d’Ercole è andato in scena l’ennesimo rinvio, dovuto all’impossibilità di trovare in aula una quadra che permettesse di accontentare i 391 comuni siciliani. Dopo settimane di trattative, di emendamenti e di proposte di accordo poi andate a vuoto, il testo è stato rimandato per l’ennesima volta in commissione Affari Istituzionali. “Serve un approfondimento per trovare un’intesa e tornare in aula con un testo condiviso“, ha dichiarato in aula il capogruppo di Forza Italia all’Ars Stefano Pellegrino. In pratica, le differenze di vedute sul testo incardinato a Sala d’Ercole si sono infrante come la luce su un prisma di cristallo, mostrando i vari fili conduttori che, muovendosi su assi spaziali diversi, non si sono mai incontrati. Eppure, di tempo per catalizzare i raggi della coalizione ce ne è stato tanto. Forse troppo.
Il difficile percorso del ddl enti locali
Dopo il flop riportato in primavera, il ddl enti locali è tornato alle cronache di Palazzo dei Normanni ad inizio settembre, sotto la spinta del deputato regionale Ignazio Abbate. Ma i problemi in maggioranza hanno fatto slittare tutto al 24 settembre. Dopo l’ok della I commissione, il testo è andato in aula ad inizio ottobre. Un via libera che ha avuto il suo prezzo visto che il governatore Renato Schifani ha chiesto ed ottenuto la cancellazione di una delle norme più discusse del disegno di legge, ovvero quella che introduceva l’assessore aggiuntivo per i 391 comuni siciliani. Quella che sarebbe stata una vera manna dal cielo per diversi sindaci, trasversalmente voluta all’Ars ma che è finita nel cestino. Almeno fino all’arrivo in aula, quando il deputato regionale Nuccio Di Paola ha presentato un emendamento aggiuntivo sul tema. Proposta che ha diviso tutti, perfino i pentastellati stessi.
Centinaia di emendamenti affossano il testo
Un tentativo, riuscito, di creare scompiglio. Sulla questione Renato Schifani avrebbe strigliato i suoi fedelissimi, imponendo di usicre dall’aula qualora si fosse fatto ricorso al voto segreto. Ma quella dell’assessore aggiuntivo non era l’unica gabola. Non era l’unica matassa da districare. Sul testo sono piovuti 350 emendamenti. Un’enormità di carte da gestire per le commissioni dell’Ars. Il problema era alla base. Alcuni articoli erano frutto di visioni di singoli comuni o di gruppi di comuni. Non un corpus normativo unico e condiviso. Così, una volta che il testo è giunto a Sala d’Ercole, c’è chi ha detto “no”. Anche all’interno dei singoli partiti. C’è chi ha espresso perplessità sul consigliere supplente, chi sul terzo mandato per i sindaci dei piccoli comuni, chi per la soglia per sfiduciare i primi cittadini dei piccoli centri urbani dell’Isola. E chi, ancora, non ha gradito la riforma del Collegio dei Revisori.
Delusione nella DC, l’attacco di La Vardera
Troppe polemiche. Troppe critiche. Troppi stomaci da accontentare. La carne al fuoco c’era. Ma c’è chi preferiva, metaforicamente parlando, il pesce. O chi si è dichiarato perfino vegetariano o vegano su alcune norme. Di questa carne, evidentemente, non ne volevano mangiare. Insomma, nemmeno una cucina gestita da Cannavacciuolo avrebbe accontentato tutti i palati. E così è stato. “Continueremo a sentire tutte le parti interessate a cominciare dall’Anci Sicilia, c’è la volontà di lavorare in modo attivo per portare avanti questo disegno di legge. Ci auguriamo che dopo il secondo ritorno in commissione, la terza volta a Sala d’Ercole possa essere quella buona“, ha dichiarato in aula il relatore del testo Ignazio Abbate. Ben più duro l’affondo di Ismaele La Vardera, deputato regionale del Gruppo Misto. “Non è la prima volta: la maggioranza continua a distruggere le proprie riforme per via della lotta interna che c’è dentro il governo Schifani. Questo non fa bene a nessuno e soprattutto non fa bene ai siciliani“.
La rappresentanza di genere come possibile punto di ripartenza
L’unico spigolo che si era riuscito a limare era quello della rappresentanza di genere. Il testo originale prevedeva una soglia del 20%, la metà della media nazionale. Ma alcuni emendamenti miravano ad alzare tale soglia. Ieri, sul tema, c’è stata una manifestazione promossa da deputate e consigliere comunali di vari partiti politici, da destra a sinistra. Una battaglia condivisa e che si sperava potesse essere apripista per un accordo. E invece no. In aula è arrivato l’ennesimo colpo di cannone al veliero del ddl che, di conseguenza, è affondato nel tempestoso mare dell’Ars. Il testo torna così in commissione. Anche se la paura diffusa fra i banchi di Sala d’Ercole è che la politica possa dare priorità ad altri atti, variazione di bilancio in primis, e che il ddl possa tornare ancora una volta nel dimenticatoio. Quantomeno in attesa di un porto salvo che nelle acque agitate del centrodestra non sembra oggi così vicino.