Incompiute di Sicilia una scommessa da vincere. Per il governo regionale guidato da Nello Musumeci il volano delle infrastrutture e delle opere pubbliche da realizzare, costituisce una priorità e una sfida da portare avanti.
Dopo i ripetuti inviti di Ance Sicilia, l’associazione dei costruttori dell’Isola e delle altre categorie di settore, il governo regionale rompe gli indugi, consapevole, al tempo stesso, che la delusione spesso è proporzionale alle aspettative che si nutrono.
Cannamasca e Blufi, ad esempio sono due delle dighe che potrebbero essere ultimate in Sicilia. Per la prima si tratta di una storia che si perde nella memoria burocratica dell’Isola e che parte nel 1988.
Una diga realizzata per il 70%, strategica grazie al fatto di potere invasare circa 2.200.000 metri cubi d’acqua nel periodo invernale da destinare all’irrigazione nella stagione secca. La superficie potenziale da irrigare ammonta a circa 550 ettari. Gli uffici della Regione inoltre hanno studiato la possibilità di utilizzo delle acque a scopo idrico e potabile. Questo consentirebbe di sgravare l’acquedotto Fanaco-Madonie Ovest e di realizzare importanti economie di gestione. Il 5 maggio scorso l’Ufficio tecnico del ministero delle Infrastrutture ha scritto alla Regione e al Consorzio di bonifica della Sicilia occidentale affermando chiaramente che l’opera va completata o dismessa, dando tre mesi di tempo per capire in che modo l’ente abbia intenzione di porsi rispetto alla questione. La parte dell’opera già realizzata a Cannamasca ammonta a 18 milioni di euro. La diga, come nel caso di Pietrarossa è stata riconsiderata, ed è stato superato lo stallo dopo decenni. Un’accelerazione avvenuta negli ultimi mesi grazie anche alla sinergia fra consorzi di bonifica e dipartimento Acqua e rifiuti.
Un relitto in cemento armato. Così oggi appare invece la diga di Blufi. Un’opera che fa parte del sistema idrico da cui prende il nome che è collocato nella Sicilia centro meridionale. Connesso con gli acquedotti Ancipa, Fanaco, Madonie Ovest, Madonie Est e Gela-Aragona, già gestito da Siciliacque. Una diga che potrebbe essere ancora tecnicamente completata, ma su cui la commissione dighe nazionale chiede che la Regione faccia chiarezza. Un’opera, la cui eventuale demolizione, comporterebbe peraltro costi non indifferenti e smaltimento di rifiuti speciali.
Una storia che parte da lontano. Il CTAR (Comitato Tecnico Amministrativo Regionale) nel 1978, approva un progetto da 180 miliardi di lire, di cui 118 a base d’asta. I lavori sono aggiudicati dall’assessorato regionale ai Lavori pubblici nel 1989 ad un raggruppamento temporaneo di imprese con capogruppo la Astaldi. Tocca all’Eas (ente acquedotti siciliani) e carrozzone senza fine della politica siciliana, attuare il progetto dell’opera.
A sovrapporsi e a bloccare tutto, proprio quando si trattava di iniziare lo sbarramento, uscì fuori l’istituzione del Parco delle Madonie che vincolò l’intera area. Dopo la sospensione dei lavori, mancò concretamente chi eccepisse il fatto che con l’istituzione del nuovo parco potessero essere fatti salvi non solo i cantieri in essere, ma anche i progetti già approvati nell’ambito delle aree vincolate. In altre parole solo mettendo in discussione il vincolo, con un eventuale disegno di legge, o con altre atti di contenuto analogo, si potrebbe rivalutare la situazione.
Nei giorni scorsi intanto è stato sottoscritto il contratto tra l’Istituto autonomo case popolari di Agrigento ed il consorzio CPC (Consorzio progettisti e costruttori) per la ricostruzione dei 60 alloggi popolari a Ribera. Da cinque anni le famiglie interessate attendevano che partisse la ricostruzione delle case. Lo stop arrivò in coincidenza della scoperta in base alla quale gli alloggi erano costruiti con calcestruzzo depotenziato.
Un’inchiesta che però non ha trovato colpevoli né individuato i responsabili. La gara di appalto è durata circa due anni presso L’Urega (ufficio regionale per l’espletamento di gare per l’appalto di lavori pubblici) di Agrigento.
L’appalto è stato aggiudicato dal consorzio Cpc con sede in Maletto (Ct) per un importo di 6.000.000,00 di euro, con un ribasso di oltre il 30%. Lo Iacp di Agrigento nei giorni scorsi ha sottoscritto il contratto con la ditta che ha 90 giorni di tempo per iniziare i lavori, che devono essere completati entro un anno. Inizialmente saranno demoliti le palazzine esistenti e poi si procederà alla ricostruzione.