Figuccia non è più l’assessore ai Rifiuti di Musumeci. Come si sa, si è dimesso mercoledì 27 dicembre. La solitudine di un assessore non si misura dalla velocità di un passo indietro e neanche dalla lunghezza di un post su Fb. Nasce dalla perplessità. E parte da lontano.
Un’altra lunga giornata, quella in cui Musumeci, al termine, fece la composizione della giunta, è la premessa della resa del centrista che qualche mese fa aveva lasciato Forza Italia in rotta con Miccichè
In quell’occasione era stato lo stesso Figuccia a dire a chiare lettere di volere andare a ricoprire la delega alle Politiche del Lavoro. Ma non fu accontentato.
Le ragioni della politica avevano fatto altre pesature.
Su un piano personale, di temperamento e di comunicazione politica, per lui che da promoter delle istanze dei precari si sarebbe dovuto trovare, nella nuova veste, a dover sbrogliare la matassa delle stabilizzazioni delle Srr e degli ex-Ato. Forse anche per questo i dubbi, negli ultimi giorni, gli erano aumentati.
Nel lungo soliloquio di riflessione pubblica, nel quale, rivelando un implicito sottofondo di perplessità, in materia di rifiuti aveva così commentato: «mentre le discariche sono al collasso, fra presunte ideologie e pragmatismo esasperato, assisto basito a un tutti contro tutti, fra scienziati e burocrati, politici e cittadini, immerso fra rompicapo che da decenni paralizzano la nostra terra senza che nessuno trovi soluzioni».
Chi guarda la politica con spocchiosa sufficienza lo definisce un capopopolo, ma quel che è certo che chiunque altro sarebbe stato stroncato dopo aver lasciato da deputato uscente un partito come Forza Italia. Figuccia no. Si è messo buono in un angolo e ha continuato a tessere la sua tela ininterrotta di rapporti personali con un mondo difficile ed esigente, quello dei precari che la politica ha spesso alimentato scagliando la pietra e nascondendo la mano. Figuccia, nel bene e nel male, la mano non la nasconde.
Dopo aver provato un approccio con Fratelli d’Italia sceglie l’Udc, il partito che va alla ricerca di una rifondazione. E ce la fa. Oggi che la giunta Musumeci, piaccia o no doverlo riconoscere, perde un pezzo importante dopo un mese dalla partenza, è facile dire che la scelte del funambolo d’Aula che si sentiva troppo marcato in un ruolo di governo, poteva essere considerata meglio. Innanzitutto dal suo partito.
Oggi nessuno ricorda che nella notte delle scelte Musumeci chiese a Razza e Falcone il sacrificio di gestire la difficile delega. Soprattutto oggi riparte il tormentone della nuova scelta. Il governatore siciliano proverà a trovare una figura istituzionale, (un magistrato? Un prefetto?) un baricentro di garanzia rispetto alla complessità di un dipartimento difficile da reggere per cose da fare e appetiti da controllare.
Oppure dovrà accontentarsi di un politico centrista che abbia la capacità di reggere l’impatto e di contrastare con le scelte a volte accentratrici, ma necessarie, dei dirigenti generali che si trovano a prendere decisioni complicate.
Quel che è certo che il nuovo assessore non dovrà soffrire né di solitudine, né di saudade. Perché comunque ne avrà in ogni caso parecchia.