Un sottile filo rosso unisce Palermo, Santa Rosalia e la comunità tamil più grande d’Italia. Quasi ottomila persone, di cui circa la metà cristiane, sono devote alla Santuzza.
Anzi, probabilmente sono più devote di molti “palermitani da diverse generazioni”, tanto che le vedi andare in pellegrinaggio al santuario ogni domenica, non solo a settembre, ma tutto l’anno.
Due volte l’anno, il 14 luglio e il 4 settembre, poi, è un vero tripudio di colori e culture, con l’incontro tra cristiani e induisti per le strade della città e lungo la “Scala vecchia”.
Giulia (Kiyuliyā) e Vincenzo (Viṉceṉcō) sono palermitani per nascita, tamil per cultura. I loro genitori sono scappati dallo Sri Lanka venticinque anni fa a causa della guerra civile. In Sicilia, a oltre settemila chilometri di distanza, hanno trovato una nuova casa.
“In un posto così lontano dalla nostra patria, la nostra famiglia ha ricostruito la propria vita. I nostri genitori hanno fatto richiesta di asilo tanti anni fa in Italia e hanno girato qualche città. Ma solo Palermo li ha davvero accolti e con la sua cultura li ha fatti sentire vicini a tutto quello che avevano lasciato a Jaffna. Noi siamo nati qui – dicono – ma continuiamo a parlare per lo più la lingua tamil. Ci hanno insegnato che serve per non perdere le nostre origini”.
Perché Santa Rosalia è importante per la vostra cultura?
“È incoronata da fiori, come le nostre divinità. È la santa protettrice della città e, quindi, è simile a quello che fanno Durga, che è accompagnata da teschio e rose, e Ganesh, che vive in una montagna sacra”.
A proposito della montagna, la similitudine tra i pellegrinaggi nel territorio srilankese e quello che i palermitani fanno a settembre su Monte Pellegrino è evidente: “In Sri Lanka – raccontano Giulia e Vincenzo – i templi e le chiese sono stati costruiti in cima a montagne. Ci si va in silenzio, in preghiera, a piedi nudi, oppure cantando. Solo così ci si può mettere in contatto con gli dei. Fin da piccoli siamo stati abituati a salire al santuario ogni domenica con la nostra famiglia. Ogni tanto scriviamo le nostre preghiere e le lasciamo a Santa Rosalia. Lei ci ascolta”.
Che tipo di richieste fanno i tamil alla Santa è una questione privata. Se si prova a chiedere, le risposte sono vaghe, nascoste dietro un pudore che caratterizza un’intera cultura. In passato, sono stati tradotti centinaia di messaggi lasciati come ex voto all’interno della grotta. C’era chi chiedeva la pace in Sri Lanka, chi voleva solo riabbracciare una madre, un padre, una sorella o un fratello, dispersi a causa del conflitto. Chi sperava di essere accettato nel nuovo Paese che era costretto a chiamare “patria”: “Le mie preghiere le conosce solo Santa Rosalia – dice timidamente Giulia – ma conosco una coppia di amici di mio padre che non potevano avere figli. Hanno pianto e pregato. E dopo anni è arrivata una bimba. Si chiama Rosalia”.