Luca Guardabascio, regista, sceneggiatore e scrittore campano, presenta il suo ultimo romanzo ambientato a Palermo: “L’amico speciale”.
«Palermo era ed è un grande esempio di fratellanza e di integrazione… La fascinazione e la simbiosi con la città e la sua gente è stata immediata e mi sono subito detto: voglio conoscere meglio la sua storia e le sue tradizioni».
INTERVISTA
Ciao Luca, benvenuto e grazie per aver accettato il nostro invito.
Grazie Andrea, è sempre un onore essere intervistato da un grande interprete della sicilianità come te.
Hai recentemente pubblicato con la prestigiosa casa editrice romana Newton Compton il tuo ultimo romanzo ambientato nella mia città, Palermo, dal titolo “L’amico speciale”, che prossimamente presenterai a Palermo e in tutta Italia. Ci racconti come nasce questo progetto editoriale?
Tutto nasce nel luglio del 2000, quando ero a Palermo per girare il mio primo documentario importante. Per tre mesi ho vissuto in via Rosolino Pilo racchiuso nel meraviglioso quadrato delimitato da via Ruggero Settimo, Via Roma, Piazza Politeama e via Cavour. In quelle settimane ho scoperto una città unica, sospesa tra il moderno e l’antico, una città che ti accoglie solo se riesci ad amarla. Palermo era ed è un grande esempio di fratellanza e di integrazione e infatti quel documentario ha vinto numerosi premi internazionali proprio perché racconta un sistema di integrazione moderno. La fascinazione e la simbiosi con la città e la sua gente è stata immediata e mi sono subito detto: voglio conoscere meglio la sua storia e le sue tradizioni. Il plot del romanzo mi è stato subito chiaro così come era chiaro il fatto di voler parlare della perdita dell’innocenza. La cosa difficile era farlo in una città che conoscevo soltanto superficialmente ma per cui avevo avuto un vero colpo di fulmine. Negli anni sono tornato centinaia di volte, spesso solo per comprendere il tessuto sociale, studiarne il dialetto, conoscerne le tradizioni, i miti, i riti e le idiosincrasie. “L’amico speciale” rappresenta il mio lavoro della maturità perché è frutto anche di uno studio antropologico, un pedinamento fatto sul campo. Sono andato a scovare luoghi e personaggi, particolarità e bellezze uniche che ho cercato di descrivere attraverso gli occhi dei miei protagonisti. Molti dei tipi trattati sono diventati i miei “ragazzi di vita”, figli di una vita speciale, a tratti durissima, a tratti magica e sospesa in un tempo indefinito in cui si avverte una sorta di “rito di passaggio”. Ho riflettuto molto sulla strada da seguire e L’amico speciale è di sicuro figlio di molta letteratura italiana e che ho riletto in questi anni da Verga a Pirandello, da Collodi a De Amicis, da Carlo Levi a Pasolini, da Natalia Ginzburg a Elsa Morante.
Come mai, da napoletano quale sei, hai ambientato questa storia a Palermo?
In realtà sono salernitano, come il grande Alfonso Gatto e sono un po’ figlio di quel mondo. Sono convinto che la letteratura sia una missione, un atto fatto di un amore che va declinato non solo per intrattenere ma soprattutto per educare e far scoprire una realtà che il lettore potrà vivere grazie al nostro “occhio”. Inserire queste storie in un contesto “unico” è importantissimo e Palermo mi è sembrata subito una città unica per raccontare questo reale. Io “ho fatto” il terremoto del 23 novembre 1980 ad Eboli e Campagna ed è lì che ho iniziato a distinguere il chiaro e lo scuro della vita. Quando perdi il tuo substrato borghese, quando devi lasciare la tua casa, inizi a scoprire la “strada” che è una metafora del Mondo. La perdita dell’innocenza è emersa nel mio Io a soli cinque anni quando per mesi siamo stati costretti a vivere in aperta campagna e, successivamente, a trasferisci dagli zii ad Ancona, decisamente un altro mondo. Conoscere territori diversi, dialetti e persone non omologate al nostro stato sociale (i miei erano professori di liceo), mi ha aiutato molto nello sviluppo delle mie storie e di questa storia in particolare dove non mi hanno spaventato la ricerca, lo studio e il tempo per poter raggiungere l’obiettivo “romanzo”. Salerno e Palermo sono città superlative che, nell’immaginario collettivo, sono state sempre seconde ad altre. Salerno e Palermo si somigliano tantissimo ed entrambe hanno sofferto la popolarità e l’ingerenza napoletana. Sono città speciali dove ancora puoi scovare la vera vita, non affettata e non esclusivamente turistica. Sono città uniche perché fanno della diversità e dell’integrazione la loro cifra di crescita. Napoli, invece, ha un’identità precisa ed esclusiva a cui devi adattarti, Palermo e Salerno mi sembrano più inclusive. Il capoluogo siciliano, però, mi è sembrato sin da subito sospeso in un’epoca indefinita ed era quello che cercavo per raccontare L’amico speciale. Perché? Perché l’anima palermitana è schiva, a tratti timida e allo stesso tempo, meno fracassona di quella napoletana. Ha uno spirito fresco, ancora giovane e con una voglia matta di far sentire a proprio agio lo straniero. È la caratteristica di tutte le città che hanno sofferto tanto. Se alcuni luoghi ti spaventano allora non puoi comprenderli appieno. Io sono arrivato a Palermo consapevole di voler raccontare gli uomini e non i fatti di cronaca. Questo dovrebbe fare l’arte, comprendere, andare oltre lo strato superficiale che vuole la Sicilia relegata ad uno stereotipo. A Palermo ho incontrato persone meravigliose che mi hanno sempre accolto e a cui spesso, io ho fatto notare cose che loro davano per scontate o che non conoscevano affatto. In tempi non sospetti, giravamo alla riscoperta di palazzi, cortili, corti, oratori per lasciarci affascinare da figure uniche come le sculture e gli stucchi di quel genio di Giacomo Serpotta. Palermo era la città della bellezza dimenticata perché insanguinata dai fatti di cronaca e coperta da un velo di ignoranza dovuta ad un’assenza dello Stato. Ora le cose sono cambiate perché il movimento culturale a Palermo e in Sicilia è grande e se si analizzano le cose con il senno di poi lo si deve anche alla letteratura da Tomasi di Lampedusa a Sciascia, da Nino Martoglio a Verga a Pirandello, da Goliarda Sapienza (da riscoprire) a Camilleri.
Cosa vuoi raccontare con questa storia? Qual è il messaggio che vuoi che arrivi al lettore? Cosa troverà il lettore leggendo questo romanzo?
I protagonisti sono alcuni ragazzi che la società vuole schiacciare: Saro che sogna di diventare un carabiniere, Carmelo un ragazzino affetto dalla sindrome di down e Caschello, un vivace zingarello. Tre ragazzi “diversi” per la società in cui vivono che li vorrebbe omologare. Tre personaggi che combattono per trovare un posto in questo micromondo, tre figli che vorrei veder crescere con i propri sogni. Gli argomenti principali del romanzo sono la scoperta della vita, la perdita dell’innocenza, la lotta contro un mondo cannibale dove non tutti riescono a salvarsi. C’è molta antropologia, c’è tanta psicologia e ci sono circa dodici anni di studio e di pedinamento zavattiniano. Posso dire che il 60% di quello che si legge nel libro è reale. Conoscere davvero molti dei tipi presenti nel libro mi ha agevolato anche se ha portato a ripensamenti, dubbi, ritorni in città e lunghe conversazioni sulla lingua, la cultura, i vizi e le virtù dei palermitani. Si parla anche di magia perché c’è tanta antropologia religiosa che fa parte della storia sociale, del folklore, del mito e del rituale del nostro Paese. Santi, sante e la santuzza Rosalia, la fanno da padrone nel romanzo. Il libro è dedicato a chi sa leggere, a chi ha cuore, a chi sa ascoltare, a chi sa sognare, a chi sa amare.
Una domanda difficile Luca: Perché i nostri lettori dovrebbero comprare il tuo libro? Prova a incuriosirli perché vadano in libreria a comprarlo.
Per tornare ad essere bambini, ripensare ai nostri sogni, al grande e immenso valore dell’amicizia. Leggere L’amico speciale aiuterà tanti a sognare una società migliore, lo dobbiamo ai nostri figli. Leggere L’amico speciale aiuterà il lettore a riscoprire il proprio senso di libertà. Essere liberi è il bene più prezioso che spesso gli adulti dimenticano.
Come è nato il tuo amore per Palermo? Ci racconti questo colpo di fulmine?
Palermo, sin da subito, mi ha tolto il respiro come in una sindrome di Stendhal e ho sentito il desiderio di realizzare qualcosa di importante. Come nel quadro di Guttuso “Vucciria”, Palermo è una città fatta di un realismo sanguigno, odori, profumi, sapori, ha una carica erotica unica e ti trasmette una grande gioia di vivere. La città ha talmente tante sfaccettature che se non la racconti con il cuore, non riesci a descriverla bene.
La maggior parte degli autori ha un grande sogno, quello che il suo romanzo diventi un film diretto da un grande regista. A questo proposito, Stanley Kubrick, che era un appassionato di romanzi e di storie dalle quali poter trarre un suo film, leggeva in modo quasi predatorio centinaia di libri e perché un racconto lo colpisse diceva: «Le sensazioni date dalla storia la prima volta che la si legge sono il parametro fondamentale in assoluto. (…) Quella impressione è la cosa più preziosa che hai, non puoi più riaverla: è il parametro per qualsiasi giudizio esprimi mentre vai più a fondo nel lavoro, perché quando realizzi un film si tratta di entrare nei particolari sempre più minuziosamente, arrivando infine a emozionarsi per dettagli come il suono di un passo nella colonna sonora mentre fai il mix.» (tratto da “La guerra del Vietnam di Kubrick”, di Francis Clines, pubblicato sul New York Times, 21 giugno 1987).
Pensi che “L’amico speciale” sia in grado di innescare nel lettore quelle sensazioni di cui parla Kubrick? E se sì, quali sono secondo te?
Mi sono sorpreso delle tante recensioni presenti sul web, quasi tutte positive e delle sensazioni descritte dai lettori. Molti mi hanno emozionato e mi hanno fatto rileggere la storia non solo pensando ad un film ma addirittura pensando ad un futuro per questi protagonisti, in tanti me lo hanno chiesto perché hanno provato una grande empatia leggendo L’amico speciale. Il lettore si è riscoperto bambino ed ha apprezzato molto il passo realista del romanzo.
«Non mi preoccupo di cosa sia o meno una poesia, di cosa sia un romanzo. Li scrivo e basta… i casi sono due: o funzionano o non funzionano. Non sono preoccupato con: “Questa è una poesia, questo è un romanzo, questa è una scarpa, questo è un guanto”. Lo butto giù e questo è quanto. Io la penso così». (Ben Pleasants, The Free Press Symposium: Conversations with Charles Bukowski, “Los Angeles Free Press”, October 31-November 6, 1975, pp. 14-16.)
Tu cosa ne pensi in proposito? Cosa deve avere una storia per “funzionare” nel lettore?
Deve essere una “materia” che faccia piangere, ridere, sognare e vibrare prima lo scrittore. Non scrivo mai un libro senza sorprendermi delle varie soluzioni che mi si presentano di volta in volta sulla carta. Sono uno scrittore ma soprattutto un lettore. Non esistono solo buoni scrittori, esistono soprattutto buoni libri e spesso queste opere nascono non per mestiere ma per amore della letteratura. Così è nato L’amico speciale.
Secondo te è più importante la scrittura (come è scritta) oppure la storia (cosa racconta) perché abbia maggiore effetto ed efficacia narrativa nel lettore, volendo rimanere nel concetto di Bukowski?
La storia è fondamentale, l’impatto narrativo è qualcosa che lega il lettore alla pagina. Parlo però di quando lo scrittore sa anche scrivere. Oggi leggo delle ottime storie scritte davvero malissimo e mi chiedo dove siano finite le case editrici di una volta e dove siano finiti gli editor.
Per finire un’ultima domanda Luca. Penso che la letteratura italiana degli ultimi 50 60 anni sia davvero in grande decadenza e vesta i panni di una formidabile mediocrità. Le grandi case editrici non rischiano e pubblicano esclusivamente “omogeneizzati” che non si differenziano in niente da altre storie e da altri modi di scriverle di altri autori del nostro tempo. Su questo sono d’accordo con Bukowski che in una intervista del 1975 disse queste parole: «Quello che sto cercando di dire e che la letteratura è stata un grande imbroglio … un gioco scialbo, stupido e pretenzioso che mancava di umanesimo: Ci sono delle eccezioni… ma sentivo che comunque era un imbroglio perpetuato nei secoli. Apri un libro e ti addormentavi, pura noia studiata a tavolino: Sembrava un maledetto imbroglio. Così ho pensato: chiudiamo e ripuliamo il verso – poter stendere un verso semplice come fosse una corda di bucato, e a prenderci emozioni – humor, felicità – senza ingombri: Il verso semplice, fluente, e al tempo stesso sfruttare questo verso semplice per appenderci tutte queste cose – le risate, le tragedie, il bus che passa con il rosso. Tutto. È l’abilità di dire una cosa profonda in modo semplice: E hanno sempre fatto il contrario: Hanno detto… che cosa? Non so cosa abbia detto: È stato molto scoraggiante: Così ho provato – detto in questo modo suona molto sacro – ma ho provato a portare alla luce quello che credevo sbagliato in questo gioco. E, cazzo, ho avuto anche grandi aiuti – J. G. Salinger e tutta questa banda che siete con noi intorno al tavolo stasera. Ok Questo è più o meno tutto» (Ben Pleasants, The Free Press Symposium: Conversations with Charles Bukowski, “Los Angeles Free Press”, October 31-November 6, 1975, pp. 14-16.)
Tu cosa ne pensi delle parole di Buk? Qual è lo stato di salute della letteratura contemporanea italiana? Ci sono secondo te autori che andrebbero valorizzati e che invece rimangono conosciuti da pochi perché le grandi case editrici non li considerano così come le grandi distribuzioni?
Non sarei così drastico, ma di sicuro qualcosa è cambiato diciamo almeno dal gruppo ’63 in poi, guarda caso costituitosi a Palermo. C’è stata una vera grande rottura tra la letteratura popolare e questi autori che rappresentavano un’idea elitaria e una provocazione nell’Italia degli anni ‘60. Questa importante idea di neoavanguardia ha però portato negli anni ’80 al fenomeno contrario, la letteratura è diventata materia per tutti, chiunque poteva pubblicare un libro, anche chi non aveva mai scritto prima. Il libro da strumento di cultura è diventato anche e soprattutto fenomeno di costume e mi vengono in mente i libri di Marina Ripa di Meana e il loro enorme successo. Il realismo ha lasciato spazio alle storie di vita vissuta e le narrazioni sono diventate minimaliste o glamour o troppo fantasiose. Negli anni ‘90 abbiamo avuto una vera degenerazione e i successi per una letteratura mordi e fuggi, hanno ucciso i grandi autori. In questo marasma sono nati la gioventù cannibale che ha prodotto Ammaniti, Brizzi … e i grandi autori di gialli che hanno, in parte, aggiornato e superato le generazioni precedenti da Scerbanenco a Renato Olivieri. Nella letteratura degli ultimi anni, ovviamente, si sono stagliati i geni, quelli che rimarranno sui libri di testo, Umberto Eco (n.b. nato nel gruppo ’63), Andrea Camilleri, Oriana Fallaci, Luciano De Crescenzo, scrittori che hanno saputo creare, intrattenere e rompere gli schemi restando degli autori italiani. Io amo però riguardare a quei piccoli grandi autori che hanno descritto il nostro mondo facendolo crescere e regalando dignità alle nostre piccole cose, alle nostre genti e visto che me ne dai l’occasione, io vorrei ricordare di come sono pieni di “sensazioni” e di vita i libri di Grazia Deledda, Matilde Serao, Lucio Mastronardi, Ignazio Silone, Giovannino Guareschi, Luciano Bianciardi, Carlo Cassola, Leonardo Sciascia, Giovanni Arpino, Giulio Angioini, Antonio Tabucchi, e con questa idea di letteratura nel cuore preferisco sempre l’ultimo romanzo del quasi centenario Raffaele La Capria che l’ultimo libro di Federico Moccia, dicendo questa cosa però, so di aver fatto pubblicità. Infine l’importante è leggere e credo che da Alessandro Baricco a Massimo Carlotto, da Andrea De Carlo ad Erri De Luca, da Dacia Maraini ad Elena Ferrante, da Andrea Giostra al compianto Andrea G. Pinkets, da Andrea Vitali a Sandrone Dazieri, da Sandro Veronesi a Massimo Lugli a Valerio Massimo Manfredi ci sono autori che sanno scrivere e raccontare storie per tutti i gusti. L’importante è avere sempre un libro da leggere sul comodino in questo modo sarà più semplice passare dalla Divina Commedia a L’amico Speciale. In fondo per chi ha sete di lettura da Dante al sottoscritto il passo è breve e, perdonatemi la battuta.
Luca Guardabascio
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