Dopo i risultati dei ballottaggi delle recenti elezioni amministrative si è scatenato, com’era prevedibile, un diluvio di analisi e commenti.
Il centro destra, da parte sua, può giustamente esultare per il risultato ottenuto, grazie alla ritrovata unità, che tuttavia non è scontata una sua proiezione nazionale. Per ora raccoglie in parte la protesta generale che si riteneva fosse monopolio di Grillo, ma anche perché in molte città e regioni importanti ha mostrato di saper governare.
Per quanto riguarda le altre due formazioni politiche, il risultato ci consegna, con le dovute eccezioni, i Grillini sconfitti al primo turno e il PD sconfitto ai ballottaggi. Tutti i commentatori hanno guardato ai riflessi nazionali del voto, alcuni perfino l’hanno considerato una conseguenza della vicenda politica nazionale, attribuendo ora a Matteo Renzi, ora ad alcune misure del governo Gentiloni, la legge sullo ius soli, l’intervento sulle banche per fare qualche esempio, la responsabilità del voto negativo.
Ora non vi è dubbio che anche le tornate elettorali amministrative assumono sempre un significato generale e dal contesto generale sono influenzate, tuttavia far dipendere l’esito del voto dal clima e dalle vicende nazionali, appare riduttivo e fa perdere di vista, in ogni caso, quella che poi era alla fine la posta in gioco e su cosa gli elettori erano chiamati a pronunciarsi: il governo della propria città.
Ridurre tutto alle problematiche e alle criticità generali fa il gioco di chi vuole occultare le responsabilità delle classi dirigenti locali nel non avere governato bene dove amministravano e nel non essere stati credibili come possibile forza di governo dove si era all’opposizione.
Una questione che richiama il tema della qualità e dei criteri di selezione dei gruppi dirigenti, sempre più frutto di piccole consorterie locali in guerra fra loro e slegati da un rapporto con le realtà sociali, produttive e culturali del territorio.
Se è vero come dice Veltroni che la vocazione maggioritaria che il PD deve mantenere non significa autosufficienza ed esclusivismo, al tempo stesso il risultato ha dimostrato, come nel caso di Genova, che non servono coalizioni frutto solo di accordi verticistici e costruite a tavolino.
Ecco perché sbaglia Renzi a minimizzare il risultato elettorale e sbagliano i suoi oppositori interni a utilizzare strumentale il risultato attribuendo la responsabilità dell’insuccesso al segretario, in una sorta di rivincita sulla sconfitta alle primarie.
Occorre partire, invece, da questo voto per avviare una rifondazione del centro sinistra attraverso un nuovo progetto di cambiamento delle realtà, recuperando la carica innovativa del renzismo e offrendo a tutte le forze progressiste e riformiste un terreno di aggregazione su un programma di rinnovamento, senza ripetere esperienze del passato come l’Ulivo che rimane un passaggio storico importante ma che, alla fine, ha dimostrato come un’alleanza che è una semplice sommatoria di forze ti può far vincere le elezioni ma poi non è in grado di governare.
Su Matteo Renzi sono piovute, e continuano a piovere, tante critiche alcune giuste che se le va proprio a cercare, ma in gran parte ingiuste e perfino ridicole, gli si è attribuito perfino il mancato raggiungimento del quorum a Trapani.
Probabilmente l’errore che ha commesso è ritenere che una volta rieletto segretario si potesse riprendere il cammino interrotto non tendo conto che, rispetto alla prima investitura, questa volta la sua rielezione è avvenuta nel contesto di alcuni fatti significativi, a cominciare dalla sconfitta nel referendum del 4 dicembre, troppo frettolosamente archiviata e che invece richiedeva e richiede una riflessione approfondita su come riprendere e rilanciare una nuova stagione di riforme istituzionali.
E poi la scissione che il PD ha subito che oggettivamente pone il problema di come riprendere il dialogo non con gli scissionisti che come i vecchi comunisti settari consideravano i socialisti socialfascisti, considerano Renzi un uomo di destra, ma con quelle realtà che a sinistra stentano a ritrovarsi nella politica del PD.
Ecco perché è importante che si apra una feconda discussione e una grande partecipazione per un nuovo progetto di cambiamento, di crescita e di modernizzazione della società italiana e questo lo può fare nelle condizioni attuali, con tutti i suoi difetti, solo Matteo Renzi, anche perché di statisti non se ne vedono proprio, né all’angolo della strada né all’orizzonte.
La Sicilia, da questo punto di vista, con le prossime elezioni di novembre può offrire il banco di prova di questa svolta.
Su questa scadenza può pesare positivamente l’esperienza di Palermo in cui sul programma di governo e sul candidato sindaco, espressione di questo programma, si è realizzato una vasta aggregazione di forze che non facevano riferimento solo ai partiti.
L’esperienza di Palermo ha dimostrato, infatti, che il centro sinistra esprime un pluralismo di forze come la Sinistra Sociale che raccoglie esperienze e domande proiettare, sull’esempio di Pisapia, in una funzione di governo, vi è Sicilia Futura che mette insieme l’eredità del popolarismo sturziano e il socialismo riformista nella prospettiva di una nuova Autonomia per la Sicilia.Vi sono forze moderate che si muovono in un’ottica riformatrice e non conservatrice e vi è l’esperienza dell’orlandismo che ha segnato le fasi più importanti della storia di Palermo e vi è il PD che per recuperare la sua funzione per cui è nato e superare la fusione a freddo tra gli eredi del PCI e della DC, che non ha dato i frutti sperati, si dovrebbe porre il compito di favorire la riaggregazione di queste forze in un progetto vincente perché credibile, soprattutto per la Regione, dove occorrono un candidato e un programma che rappresenti una netta discontinuità nei metodi e nei contenuti.
A Palermo vince Orlando perché candidato credibile e perché ha un programma che con tutte le mancanze che si vogliono rintracciare, si è però riconosciuta la città.
La stessa cosa deve valere per la Regione, nella speranza che possa essere Pietro Grasso il candidato e che sulla sua prestigiosa figura si possa ritrovare il popolo siciliano e si possa riaccendere la fiducia.