Vittorio Sgarbi, assessore regionale dei beni culturali in Sicilia, interviene sull’ipotesi di sue dimissioni dalla carica il prossimo maggio.
“Mi rendo conto che è difficile farsi capire su temi che sono facilmente strumentali. Io non ho mai detto che lascerò la Sicilia e l’assessorato. La considerazione è stata fatta, come ipotesi, con grande onestà e senza nulla nascondere, dal Presidente della Regione Musumeci. Come è possibile allora che questa ipotesi sia attribuita a me, ma che non riguardi la mia volontà? A evidenza, le elezioni regionali siciliane non erano un episodio separato e diverso dalle elezioni politiche, con le quali erano invece in stretta connessione”.
“Le elezioni regionali, dunque, – prosegue Sgarbi – come ponte verso le politiche. Quando, con il presidente Musumeci e Berlusconi, definimmo l’accordo per la desistenza delle liste di ‘Rinascimento’, la proposta dell’assessorato venne avanzata da loro, con la inevitabile riserva non come candidato al Parlamento (la funzione di parlamentare è stata da me esercitata in quattro legislature, una nazionale e una europea) ma nel futuro governo nel ruolo di ministro dei beni culturali, per il quale, diversamente da molti e da vari candidati premier, ho le ‘stelle’ o stellette”.
“Ovviamente – aggiunge Sgarbi – l’indicazione del mio nome come ministro, avanzata da Berlusconi, è tutta interna all’area di Forza Italia, legata alla prospettiva di una vittoria senza altre alleanze che quella del solo centrodestra unito. Una prospettiva possibile per Berlusconi e Musumeci, e per me sperabile, ma, ovviamente, come le cose del futuro, non certa”.
“Devo quindi ribadire – conclude il critico d’arte – che, dopo le elezioni politiche, non per il seggio parlamentare, ma solo nell’ipotesi sopra indicata, non vorrò lasciare ma sarò ‘costretto’ a lasciare la funzione di assessore, al di là della mia espressa volontà, per necessità istituzionale. Nè, d’altra parte, non riesco a immaginare, oltre ogni vanità, quale assessore, di qualunque regione d’Italia rinuncerebbe a essere ministro della stessa funzione, una volta chiamato al governo”.