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Cristo quest’anno non va in processione. Il lutto ha investito il pianeta in maniera inimmaginabile e la “truccula” suona da mesi tra le vie strette di decine di città e paesi, da nord a sud. E ci ricorda la caducità di ogni cosa e ci racconta la morte, migliaia di sudari che ancora non trovano pace e un giusto sepolcro dal quale risorgere nel ricordo di chi li ha amati.
Abbiamo compreso in poche settimane quanto siano futili tutti i nostri orpelli: vestiti, scarpe, borse, accessori per la casa. Tutto. Il valore delle nostre tradizioni però rimane immutato, anche se dovremo farne a meno, almeno per ora.
Quest’anno la ritualità della Pasqua in Sicilia non va in scena. Le Confraternite non si vestiranno con le loro cappe, non si incappucceranno, non germoglieranno i semi di grano per testimoniare la rinascita, perché l’Addolorata sta già accompagnando tutti i suoi figli morti, uccisi dal male oscuro del nostro tempo.
Non poteva non esserci accanto alle bare sole e dentro ai camion dell’esercito, mentre figli e nipoti, mariti o mogli, piangevano da lontano senza poter dare l’ultimo saluto ai propri cari.
E i martori, le casazze hanno già raccontato i martiri, la passione di migliaia di donne e uomini condannati a morte senza giusta causa. Chiusi in stanze d’ospedale in compagnia dei loro respiratori, lucidi, doloranti, come i colpi inferti all’Ecce homo. Ferite aperte che continuano a sanguinare.
Ma come mi suggerisce il mio amico Giacomo, la Settimana Santa in Sicilia è unica. Si tratta di un insieme di tradizioni secolari tramandate oralmente da generazione in generazione, che si ripetono in un’atmosfera surreale, un misto tra sacro e profano che ci travolge con impeto, da sempre.
Per non parlare dei “lamenti”, quei canti polifonici che narrano la passione e morte di Cristo, il dolore della madre, lo strazio dell’assenza. Opere uniche, che davvero andrebbero annoverate tra i patrimoni immateriali dell’umanità.
Le storiche lamentanze rischiano l’estinzione, poche sono le realtà siciliane in cui ancora è possibile ascoltarle inebriandosi della storia e della nostra cultura popolare. Un paese di questi è Alimena, borgo delle Madonie, in provincia di Palermo.
Quest’anno mi piace pensare che le storiche lamentanze accompagnino da lontano il dramma delle tante famiglie che ancora stanno lottando per uscir fuori da questo incubo. Che siano la colonna sonora delle tante vittime senza nome che abbiamo imparato a conoscere in questi mesi di solitudine.
Vi regaliamo un video struggente dei cori polifonici di Alimena del 2019, di alcuni dei “miei lamentatori”, come mi piace definirli e, le foto di Pippo Albanese, un modo gentile per ricordarci di noi e di ciò che siamo stati e torneremo ad essere.
Un pianto che accompagna il nostro venerdì santo e la crocifissione dei nostri 18 mila Cristi!