Gabriele mi ha invitato più volte alla presentazione del suo libro. Addirittura mi aveva chiesto di presentarlo. L’ho letto. E letto bene.
Che dire? In un’Italia nelle cui classifiche di libri più venduti ci sono i romanzi di Fabio Volo, i saggi di Odifreddi, le elucubrazioni di Saviano (e quando ci va bene un Camilleri, che non si nega mai), in questa Palermo dove gli scrittori di libri sono il 126% dei lettori.
Qui, insomma, “Gli appunti di una giovane anima” avrebbe dovuto essere il libro dell’anno e Gabriele una bella sorpresa (non per me) di intellettuale a tutto tondo. Non è un romanzo, non una biografia, Non un saggio. Ma è un fenomeno letterario particolare, che dà vita e voce a un pezzo di Storia. Mondiale.
In cui entriamo tutti noi e in cui, come negli specchi concavi composti di decine di esagoni presenti in alcuni quadri fiamminghi, si riesce a vedere
riflesse mille diverse immagini di uno stesso mondo. Alexandra Wolff von Stomersee (Licy) da noi è nota per essere stata la moglie di Tomasi di Lampedusa e la prima psicoanalista in Italia e, a maggior ragione, in Sicilia. Come curiosità vi dico che un mio amico fu suo cliente e, per un caso, tra i primi lettori della bozza di questo libro.
E’ lei la protagonista, anzi la guida turistica di un viaggio spettacolare e terribile che cambiò il mondo nella prima metà del secolo breve. C’è insieme la disgregazione degli stati Baltici, stretti dal pangermanesimo prussiano e dall’incedere della rivoluzione sovietica. Vive Licy il terrore dello sradicamento. Culturale, familiare. C’è una giovane anima che vorrebbe vivere come pensava di averne diritto e che deve rimettersi in gioco ogni giorno.
Convive per un tempo irrisolto il vecchio e tranquillo sistema e le nuove, temibili regole non ancora definite. Tristezza e insicurezza. Senza che Gabriele si monti la testa, confesso che è lì che mi venuto a mente Joseph Roth il cantore ineguagliato del crollo dell’Impero Austroungarico.
Licy, vive, parla e ama con piena coscienza dei tempi e del tempo.
Ci sono pagine della Grande Guerra. Le trincee. I lampi dei cannoni, il fetore della morte. E insieme la scoperta di un cameratismo fatale e rincuorante. Se mi sono ricordato di Erich Maria Remarque in “Niente di nuovo sul fronte occidentale”, non sarà stato un caso.
C’è l’amore per Giuseppe (Il Gattopardo). Un amore tanto solido e insolito da resistere a guerre, distanze,diversità di lingue, bombardamenti della coscienza mondiale.
C’è Palermo, c’è Villa Piccolo e i suoi incredibili padroni. C’è il Gattopardo che cerca di spiegare a un amico straniero che “noi siciliani ci sentiamo come dei… in Sicilia si sente Dio in terra anche l’ultimo dei braccianti… tutto ruota sulla sua individualità…”.
Leggere questo libro e dopo dare un’occhiata alla decadenza della nostra città o all’angoscia della nostra politica nazionale o alle paure della globalizzazione o al terrore di nuove, irraccontabili guerre, leggerlo ci fa convinti che dobbiamo capire che la precarietà di tutte le nostre conquiste, di ieri, di oggi e domani, ha come unico stabilizzatore la cultura, la democrazia e i riconoscerci come umani. Insomma questo libro mi è piaciuto. Bravo Gabriele.