Quanto accaduto martedì sera a Palermo impone una riflessione su ciò che sta accadendo in Italia. La vigliacca aggressione contro il segretario provinciale di Forza Nuova, documentata dai teppisti che hanno filmato le proprie gesta anche con un telefonino, purtroppo è la naturale (e triste) escalation di un clima di odio, creato ad arte in questo periodo pre-elettorale e preparato per bene nei mesi scorsi.
Il cosiddetto “antifascismo militante”, connesso a un preteso quanto inesistente “pericolo fascista”, recitato come un mantra da eminenti esponenti politici, da mostri sacri del giornalismo italiota e da opinionisti da accatto, comincia a produrre i propri effetti. Siamo davanti a una vera e propria strategia della tensione, che il potere sta attuando non casualmente, ma allo scopo di spostare l’attenzione dai reali problemi del Paese (mancanza di lavoro, giovani che fuggono all’estero, imprese che non ripartono, un massiccio aumento dei tributi dopo le elezioni, politiche mondialiste di sfruttamento dei migranti come manodopera a bassissimo costo e priva di diritti sindacali ecc) verso invenzioni di “propaganda democratica”, “armi di distrazione di massa” che non hanno alcuna portata reale.
I delinquenti che hanno selvaggiamente legato e bastonato Massimo Ursino sono solo gli esecutori materiali (probabilmente inconsapevoli) di questa strategia del potere, volta (oggi come nei lontani anni di piombo) a consolidare se stesso. I violenti sono, pertanto, sia coloro che hanno agito con fazzoletti e passamontagna, sia i loro ispiratori mediatici e politici, che hanno creato un terreno fertile in tutti questi mesi, nel quale il seme della violenza antifascista potesse crescere solido e robusto, fino a produrre i propri frutti avvelenati.
Probabilmente non è ancora finita. Probabilmente si attende che ci scappi il morto, ma intanto la violenza politica reagisce all’episodio di Palermo nel più odioso dei modi e cioè, quasi condannando la vittima (“è un razzista”, “è un fascista”, “è di Forza Nuova”) e quasi limitandosi a sgridare gli aggressori, bollando la loro azione come “stupida” e “sbagliata”, mentre per “punire i fascisti” ci vorrebbe altro. Un po’ come la tiritera dei “compagni che sbagliano” tanto di moda negli anni settanta per voltarsi dall’altro lato in occasione delle scorribande assassine dei terroristi rossi. E ancora una volta, l’area di consenso di questi violenti è la stessa, composta da quegli pseudo-intellettuali che pretendono di avere infusa in sé la verità rivelata e di doverla affermare come un dogma agli ignoranti. Che poi saremmo tutti gli altri.
Responsabili morali di questa violenza sono tutti i fautori del cosiddetto “antifascismo militante”, anacronistico e antistorico pretesto per nascondere le proprie malefatte e i loro veri intenti in una campagna elettorale lontana anni luce dalle vere questioni del Paese. Giullari e zerbini del potere alleati dei violenti in una strategia d’odio che abbrutisce l’Italia.
E, per intenderci, nulla di tutto ciò ha a che vedere con quell’ “antifascismo culturale” rispettoso delle idee altrui, ma ridotto al silenzio. Probabilmente, in giro ci vorrebbero un po’ più di autentici democratici, pronti a lottare fino all’ultimo per garantire a tutti il diritto di poter manifestare le proprie idee, compresi ai militanti di Forza Nuova o di Casapound, che sono peraltro due forze politiche impegnate in questa campagna elettorale.
La violenza di chi dice che occorre impedire a queste formazioni di poter fare politica è la stessa che ha ispirato la mano dei delinquenti che hanno agito a Palermo. Delinquenti che possono picchiare indisturbati agenti di polizia e carabinieri, distruggere vetrine di negozi, mettere a ferro e fuoco le città, ma che – di certo – continueranno a farlo grazie a quell’area di consenso di cui godono. E adesso, purtroppo, non ci si sorprenda se il livello della violenza oltrepasserà il limite. Ma anche stavolta, i detentori della verità democratica e antifascista condanneranno le vittime, voltandosi dall’altro lato per non guardare in faccia i carnefici.