Che ne può sapere il benzinaio assassino dei luoghi che frequenta ogni giorno? Non si sarà mai chiesto, tra un rifornimento e l’altro, che proprio di fronte a lui, nel cimitero dei cappuccini, riposano Tomasi di Lampedusa e Pio La Torre. Stretti dal silenzio dell’oblio, entrambi, senza nessuno che porti un fiore sulla loro tomba. Gattopardi di una Sicilia che non esiste più, di una città che ha voltato le spalle alla sua storia più bella, salvo poi indignarsi e diventare progressista all’occorrenza.
La piazza che apre il cimitero e ospita centinaia di turisti che ogni giorno la raggiungono per visitare le catacombe dove sorride la bambina che dopo secoli sfida ancora la morte, è teatro popolare dove è facile incontrare il sottobosco e la povertà panormita: dal posteggiatore abusivo balbuziente, attore di Ciprì e Maresco, che smette di inciampare sulle parole solo quando inizia a cantare, ai venditori di fiori e frutta. Confusione, povertà, violenza si alternano in maniera naturale, quasi ovvia.
Un altro protagonista di piazza Cappuccini, che a quanto pare nell’ultimo periodo dormiva accanto a Marcello, è un ragazzo sui 40 anni. Vivendo in zona lo incontro spesso. Ha gli occhi azzurri e i capelli biondi, smilzo, fuori dal mondo. Fino a poco tempo fa dormiva in una macchina abbandonata in via Quarto dei Mille. Si era costruito la sua casa lì tra piumoni vecchi, lattine di birra e mozziconi di sigarette. Non guarda mai nessuno negli occhi e deambula triste in quel quadrato di città, come se il mondo fosse tutto racchiuso tra via Pindemonte e via Cappuccini.
E arriviamo al benzinaio, che fino a ieri lavorava nell’unico rifornimento della piazza, piccolo di statura, un essere insignificante, un invisibile. Avrò incrociato il suo sguardo centinaia di volte. La banalità del male che irrompe con tutta la sua tragicità. Un essere insulso capace di uccidere nel modo più crudele. E non perché è un razzista, magari lo sarà pure, ma perché è geloso della sua donna. La guerra tra poveri che non porta mai a nulla di buono. Un pulviscolo maleodorante che sa di vino in busta e follia cieca, farcita dal senso di possesso malato.
E Palermo non avrà il suo mostro razzista da crocifiggere, un nazista dai capelli rasati, ma un uomo “normale”, indigente anche lui che per mangiare era costretto a recarsi alla mensa dei poveri. Una brutta storia che ci rimanda l’immagine reale e struggente delle due Palermo, di queste due società che non si incontreranno mai, divise geograficamente e culturalmente. C’è chi vive in strada per scelta, come Diogene nella sua botte, scelta che rientra nella piena e assoluta libertà personale e chi è costretto a inventarsi ogni giorno la propria sopravvivenza. E poi c’è chi ha troppo e può permettersi l’indignazione a tempo determinato. Una dose ogni tanto, giusto per ripulirci la coscienza e poter dire a noi stessi che siamo ancora umani.
Tanto ci sarà sempre qualcuno che, mosso da pietas quotidiana, raccoglierà coperte e preparerà pasti caldi. E poi in fondo chi se ne frega, in questo formicaio umano senza diritti c’è spazio per tutti, e Palermo è una città calda e accogliente, aperta. Capace di scendere in piazza per mostrare solidarietà e voltarsi dall’altra parte il giorno successivo. Perché la “massa” occulta, la vera protagonista di questa orrenda storia, la povertà. Ed è questo che non riusciamo ad ammettere, perché è difficile per la nostra ragione tollerare che la miseria possa creare mostri.
E adesso voltiamo pagina, ché la nostra vita quotidiana ci attende. Diamoci appuntamento alla prossima tragedia. Buongiorno a tutti, è già un altro giorno.