“Dio ci ama sempre tramite qualcuno“. Lo diceva padre Pino Puglisi, indicando una verità teologica – il Padre ha mandato il Figlio in carne, ossa e passione bruciante e inestinguibile sulla terra, per rivelare il suo cuore inclusivo che “si ostina a non perdere nessuno” e che, direbbe Papa Francesco, vuole tutte e cento le pecore – ma marcando anche una identità esistenziale, vocazionale propria e da consegnare: abbiamo il compito di aiutare tutti a non essere esclusi dal gioco grande, complesso e bello della vita. Quanti bambini, giovani, adulti di Godrano, di Brancaccio, di ogni luogo che ha incrociato, si sono sentiti amati “tramite” e da padre Pino Puglisi? Migliaia.
Ventisette anni fa veniva ucciso dalla mafia: era il 1993, un 15 settembre come oggi, giorno del suo 56° compleanno. Era solo un prete. E dalla sua parte la bella notizia del Vangelo, la forza buona che deriva dal vivere con passione e autenticità una vocazione che si interseca con le traiettorie degli uomini, ovunque si trovino. Persino quelle dei suoi carnefici ai quali ha donato il sorriso che li ha convertiti. Una storia, quella di padre Pino Puglisi, gioiosa, anche drammatica, piena di relazioni belle. Che inizia molto prima dei tre anni di Brancaccio. Che indica ancora oggi alla sua amata Chiesa la strada per essere più Chiesa. E a ogni uomo la via per vivere con maggiore pienezza.
Chi l’ha conosciuto da vicino spiega che per “3P” servire significava “camminare a fianco di Gesù e camminare con ogni persona a partire dal suo vissuto“. Una passione bruciante vissuta da “un uomo normale, come tanti. Uno al quale piaceva stare in compagnia a scherzare; uno che passava dall’altare alla griglia per arrostire, dopo aver prima raccolto la legna”. E che amava la natura. Quando viveva con i ragazzi i campi di “fraternità e preghiera“, la notte si partiva in fila indiana e lui con il sacco sulle spalle e il bastone, li guidava per i sentieri bui che già aveva perlustrato e gli faceva ammirare la luna e le stelle, le ranocchie e i fiori, le farfalle e gli insetti strani. Con lui “tutto era un’avventura“. Per 3P vivere era bello, sorridere era benefico.
Attraverso l’umorismo sapeva riconoscere i suoi limiti, non si stupiva delle sue fragilità, non si scoraggiava mai e accettava la vita così come veniva, trattandola sempre come un dono. E ogni incontro era un dono. Amava la sua attività di educatore. Mai, ad esempio, nonostante i suoi mille impegni, avrebbe rinunciato all’insegnamento nella scuola pubblica perché qui “trovi tutti i giovani così come sono“.
Educazione era “aiutare a tirare fuori da ciascuno la sua personale ricchezza“. Per lui era prioritaria la persona; più che i contenuti, intendeva far passare la consapevolezza del loro potenziale, la passione per la vita, la responsabilità nei confronti della società e della Chiesa, il loro compito nel mondo, vissuto in uno stile di servizio. Già, perché tocca “a ognuno di noi realizzare, nel proprio ambito, questo pezzetto di fratellanza, pace e giustizia”. Questo per 3P significa vocazione: “Chiamati a rispondere a Dio che ci invita a collaborare con lui“, quale che sia la strada di ognuno. Aiutare a “tirare fuori” e ascoltare veramente: forse in questo consisteva il suo segreto: ascoltare attentamente colui che chiede di parlare e comprenderlo. E quando a causa della stanchezza, soprattutto dopo che era stato nominato parroco di Brancaccio, era tentato di saltare qualche appuntamento, a chi lo invitava ad assecondare il suo bisogno di rallentare, in modo risoluto, tornando sui suoi passi, diceva: “Sono figli, sono figli miei“. Cosa voleva padre Pino per i suoi figli? “Rispondere a quella fame più profonda, fame di senso, dignità, affetto, benevolenza, amicizia, lavoro onesto, giustizia, cultura“.