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È ritornato ad essere fruibile a Firenze, all’Ex3 a Gavinana, a 40 anni dal suo primo allestimento, il “Memoriale italiano di Auschwitz”, opera che ha vissuto travagliati momenti.
L’approdo nel capoluogo toscano, infatti, giunge dal museo dell’ex campo di concentramento da dove è stato rimosso alcuni anni fa senza una motivazione plausibile.
Il Memoriale, opera d’arte contemporanea monito per la memoria, voluta e progettata dall’Aned (Associazione nazionale ex deportati nei campi nazisti), che ne è proprietaria, grazie alla collaborazione tra gli altri degli architetti Lodovico e Alberico Belgiojoso, di Primo Levi, del regista Nelo Risi, del pittore Pupino Samonà e di Luigi Nono, fu progettato e collocato nel Blocco 21 del campo di Auschwitz.
Qui l’opera, una delle prime installazioni multimediali al mondo, dall’inaugurazione del 1980 subì prima la chiusura al pubblico e poi lo smantellamento totale da parte della direzione del museo.
Il Memoriale, dunque, oggi torna a nuova vita grazie a un complesso progetto che ha coinvolto le principali istituzioni toscane e numerose organizzazioni.
Gli anni di incuria e il cattivo stato di conservazione in Polonia hanno, va da sè, deteriorato le opere che compongono l’installazione, tra queste il grande dipinto realizzato dal pittore palermitano Pupino Samonà.
Sue sono le 23 strisce dipinte, che rivestono la spirale ad elica che accoglie il visitatore lungo una passerella di legno, realizzate da Samonà sulla scia della frase, posta all’ingresso, di Primo Levi.

Artista dall’animo sensibile e incline all’espressione simbolica maturata dalla riflessione scriveva così in merito a quest’opera: “Quando mi venne richiesto da Nelo Risi di studiare una soluzione pittorica per uno spazio dedicato al perenne ricordo dei deportati italiani ad Auschwitz, mi dichiarai subito disponibile, per testimoniare il mio orrore contro ogni forma di prepotenza e di sopraffazione”.
“(…) Scoprii con sgomento l’inadeguatezza del mezzo espressivo a mia disposizione, che non avrebbe mai potuto esprimere appieno l’orrore della tragedia umana di cui via via diventavo sempre più cosciente. Qualunque soluzione, realistico-descrittiva o astratta o espressionistica, sarebbe inevitabilmente scivolata in un lirismo che mi sembrava irriverente”.
“(…) Pensai di intervenire dall’esterno. L’espressività sarebbe stata globale e non particolare, evitando l’intervento personale segno per segno, figura per figura, elemento per elemento. Per fare questo mi ispirai a Brecht, sia nei mezzi espressivi sia nella dinamica storica e nella raffigurazione”.
“(…) Scelsi colori di sicura resistenza, ma di nessuna preziosità, così che il gioco delle luci positive e negative fosse il più, schematico e povero possibile. Il disegno delle figure doveva essere accennato e presente solo nello spazio comune all’insieme e non al personaggio”.
“(…) I corpi e i volti divennero diafani e incorporei, per lasciar intravedere la loro intima sofferenza insieme alla loro grandezza. Le loro fedi e le loro anime divennero colori che contrastavano l’oppressione e l’umiliazione che subivano. A testimoniare per sempre la loro vittoria morale“.
Oggi, grazie ad una complessa e profonda attività di recupero, ad opera dell’Istituto Superiore di Conservazione e Restauro di Roma, il Memoriale italiano di Auschwitz ha recuperato la sua funzione culturale e sociale a costante monito dell’intera umanità.