Quando Nello Musumeci decise di andare oltre le sigle e i simboli, lanciando il suo progetto civico per Palazzo d’Orleans, che raccolse in seguito l’accordo dell’intera coalizione con cui andò a vincere le regionali di novembre, non sapeva ancora che la successione degli appuntamenti elettorali, referendum costituzionale compreso, avrebbe asfaltato, in successione, i principali leader di riferimento dei partiti italiani. Da Renzi ad Alfano, dai centristi al ridimensionamento dell’ottuagenario Berlusconi.
La scelta del governatore catanese era tattica nei metodi, ma politica nei contenuti. La riconoscibilità e la possibilità di essere cioè identificato da un elettorato reso isterico da cinque anni di governo a trazione Pd, con annessa la beffa che erano spesso i Dem a prenderne ripetutamente le distanze. Un modo bipolare e schizofrenico di trattare gli elettori di Sicilia, i quali già avevano l’intenzione di affidare un robusto consenso ai pentastellati.
Si dirà, non tutti i leader hanno perso. Certo fanno eccezione Salvini e Di Maio, che con il progetto di Musumeci avevano però in comune il posizionamento di essere ‘uomini contro’. Protagonisti, cioè, a cui la gente ha voluto dare credito, premiandoli come scelta di alternanza.
Renzi, arrivato al governo da leader consacrato alle primarie del Pd, ha perso di vista lo scenario pratico delle scelte, rifugiandosi in un mondo blindato che, anche per quanto riguarda le scelte elettorali siciliane, lo ha allontanato da una percezione chiara delle premesse che si andavano compiendo.
Berlusconi viceversa aveva sempre confidato, stavolta per eccesso, nella Sicilia, granaio azzurro elettorale sempre stracolmo di consensi e anche nell’Isola ha finito col differire quella opportuna scelta rigeneratrice, che, nei collegi, onda gialla grillina a parte, non avrebbe fatto male.
Il consenso delle facce, scomparse pure dai manifesti, che hanno galleggiato tra televisione e social, contro quello dei territori, che in Sicilia si preparano a celebrare a breve, il prossimo 10 giugno, la rivincita delle amministrative.
Il dopo-voto, sia in Fi, sia nel Pd, in Sicilia, ha messo in moto una rimozione delle cause dei risultati, partendo dagli effetti. Una riduzione sostanziale senza profondità, spesso basata su personalizzazioni e rancori di carattere personale, più che su un vero e proprio processo politico ai dirigenti.
Adesso i leader oltre i partiti dovranno crescere in fretta. Anche in Sicilia e, per quanto possa sembrare un paradosso, anche dentro i partiti.
La legislatura appena cominciata, che tutti individuano come breve e transitoria, si prepara a scorrere molto lentamente.