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Il personaggio

Orlando e la sindrome del “dopo di me” che impoverisce il centrosinistra

lunedì 3 Luglio 2023

La notizia, pare strano dirlo, è, che a distanza di oltre cinque anni dall’ultima adesione, Leoluca Orlando è ancora nel Pd. “Voglio comunicarvi una scelta personale. Resto convinto che il mio partito si chiama Palermo. Ho deciso di comunicare la scelta di votare per il Partito democratico e di aderire al Pd”.

Era il 25 gennaio del 2018, Orlando aveva cominciato da meno di un anno il suo ultimo mandato alla guida della città di Palermo, ma era pur sempre la vigilia delle elezioni Politiche in cui il suo principale riferimento Fabio Giambrone, mancò d’un soffio il seggio romano. C’era insomma un bisogno di rappresentanza tra i “dem” che andava codificato in cifre, dati e appartenenza a prescindere dell’orlandismo, una fede antica, principalmente in se stesso, che lo aveva portato a essere parlamentare regionale, nazionale ed europarlamentare. Fondatore della Rete negli anni  novanta, quelli dei “sindaci superstar” e coordinatore nazionale, tra le altre cose,  de L’Italia dei Valori.

Cinque volte sindaco di Palermo ne fanno complessivamente un’icona di cui è difficile liberarsi, eppure ha brillato solo di luce propria.

Leoluca Orlando

Fu proprio negli anni in cui ebbe inizio il suo ultimo incarico di primo cittadino che i più ingenui si aspettavano investiture e successioni.  Forse, osserva ancora qualcuno che nel Pd oggi ci sta stretto, ma non ha dove andare, “se Luca avesse lavorato a una lista per le Regionali sarebbe stata un’altra storia”: Le Regionali in questione sono quelle del 2022, le stesse in cui i “democrat” si sono lasciati infilzare dal contropiede grillino rimanendo sulla graticola estiva sul tema dell’alleanza poi saltata per un tempo imprecisato che bruciò facendone coriandoli, l’interesse residuale del mondo di centro che ammiccava a Orlando e non si dispiaceva più del’profumo dei gazebo quando non erano ancora a trazione “ radical sinistra strong”.

Naturalmente non c’è stata nessuna successione. La battutaccia chi perde adesso dopo di me? che gli storiografi pettegoli gli attribuirono nel 2001 quando lasciò il Comune per tentare la carta di Palazzo d’Orleans, rende bene un concetto: Dopo Orlando ci può essere solo Orlando. Non serve immaginarlo “light” o defilato. Non esiste in natura; maestro nel trasformare un problema in opportunità, tempista e populista di governo, oppositore di sistema e abile tessitore quando si tratta di convergere su un’azione politica che gli spalanca spazi che ad altri sarebbero sempre preclusi. “La Sicilia non è pronta a essere governata da uno statista”, vaticinava il 27 settembre del 2017 nei giorni in cui si trovò poi, più o meno da solo a sostenere il peso della candidatura a Palazzo d’Orleans dell’ex rettore di Palermo Fabrizio Micari.

Oggi tutti fanno a gara per rimuoverlo dal “panel” dei potenziali attori politici del centrosinistra che già di suo non brilla per protagonisti. A Palermo dopo la pausa di riflessione di Giuseppe Lupo, vivacchia senza stressarsi più di tanto Antonello Cracolici, per trovare tutti gli altri ci vuole il satellitare.

Perché questo è alla fine il punto: Un Orlando non si rimpiazza dall’oggi al domani, ma un’area culturale di riferimento e politica come questa non può rinunciare a una transizione di queste dimensioni senza pensare di lasciare praterie infinite. Ed è quello che in fondo sta succedendo.

È la volta buona, dunque, per la parola fine? È calato dunque il sipario?

Il ”professore” che “il sindaco lo sa fare”, oggi a Palermo ha lasciato il suo posto a Roberto Lagalla, uno che ha saputo creare nell’elettorato palermitano un subliminale filo di collegamento tra sé e il suo predecessore. Chissà se quest’ultimo è interessato a pensare a un successore. Nella Sicilia in cui gli “over70” sono al potere senza imbarazzo nè grande difficoltà, sarà arduo fare spazio ad altri.

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